Nel Pakistan, territorio del Bajaur, un pulmino percorre l’Arang Road. Il mezzo, non trasporta armi o materiale che possa risultare probabile obbiettivo di un attacco terroristico. Il piccolo bus conduce bambini a scuola. Piccoli studenti che non possiedono divise, mostrine e che non dovrebbero rappresentare minacce armate per nessuno. I ragazzini non celano armi, ma qualche penna rotta e un paio di sgualciti libri. Piccoli eroi che nonostante tutto, in un mondo dilaniato da guerriglie e terrorismo continuano a studiare per garantire a se stessi e al loro Paese un futuro migliore. E forse è questa la motivazione che ha spinto l’assassino di turno a premere un radiocomando che innesca la mina la cui detonazione travolge il pulmino. Forse il Killer di turno e la sua banda temono che le future generazioni possano annientare il loro terrore per mezzo della cultura, della conoscenza, del sapere, ma questa è solo “retorica”, la realtà è che quel telecomando, quella mina ha ucciso un bambino e mutilizzato altri quattro coetanei. Vittime di guerra? Forse si forse no. In guerra generalmente si affrontano eserciti armati, la storia, attraverso i suoi ricordi rievoca a tutti noi le violenze patite dai civili durante la seconda guerra mondiale, esempio di questi giorni la “giornata a memoria delle foibe”, gli indiscriminati annientamenti delle vite umane nei campi di sterminio e di concentramento, i bombardamenti strategici, le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Ma era guerra-terrore che colpiva trasversalmente tutti: uomini donne e bambini. L’obbiettivo di preparare un attentato per assassinare esclusivamente bambini o trasformali in piccoli kamikaze non è stato elaborato neanche dalle menti dei più noti criminali di guerra.
Foto: internazionale.it (attentato al parco di Lahore 27-03-2016 uccisi 72 civili, 30 erano bambini)