Ognuno recita il proprio ruolo, immerso in quella divina sensazione di devozione allo scopo comune: la realizzazione di un'opera d'arte, che anche la bonifica bellica sa idealizzare.

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Ognuno recita il proprio ruolo, immerso in quella divina sensazione di devozione allo scopo comune: la realizzazione di un'opera d'arte, che anche la bonifica bellica sa idealizzare.

I colori della morte

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Il territorio di Yobe, Gujba (Nigeria), è colmo di ordigni trappola, mine improvvisate e celate, nascoste da qualche centimetro di terra, sabbia, finanche tra rottami o legna che potrebbero attirare attenzione e bisogno di chi rientra con l’intenzione di ricominciare una nuova vita nei luoghi, un tempo, logisticamente occupati da Boko Haram. Le autorità in carica avvertono a chi rientra di prestare molta attenzione a terreni e case. Nonostante ciò in località Goniri un nutrito gruppo di ex sfollati è intento a sistemare, riordinare il terreno, vorrebbero iniziare i lavori per la stagione agricola in corso. La priorità è liberare il campo da vecchi indumenti, casse in legno, ferro e altro materiale di rumenta che ostacola  le operazioni di semina. “Sembra di vederli, mentre liberano i campi, forse sorridono alla vita che verrà, al futuro dei propri figli, liberi di non fuggire più e lavorare per il proprio Paese. Qualcuno si abbraccia, gli anziani sorridono”. Così non è. Un lavorante sollecita una mina che esplode ed uccide sette innocenti. Il Commissario Affari Interni promette bonifiche da mine ed Uxo tra i territori a codice rosso: Gujba, Gulani, Damaturu, Geidam e Yunusari. Stesso giorno a 11.000 km di distanza, in altra parte del mondo in guerra, in Afghanistan a Zabol  nel distretto di Shahjoy e precisamente nel villaggio di Tazi, una mina improvvisata (talebana) uccide 4 bambini e martorizza un quinto coetaneo ricoverato in gravissime condizioni presso l’ospedale di Qalat. Bambini che volevano vivere, giocare, sognare, diventare adulti, creare, lavorare, bambini istantaneamente uccisi da un manufatto terroristico ed esplodente che spegne quattro piccoli, grandi universi. A raccontare cosa significa subire la detonazione di una mina è  Lamiya Hachi Bashar, ragazza 18 enne irachena di fede yazidista che nel 2014 è sequestrata dai terroristi dell’Isis e resa completamente “schiava” e sempre costretta a soddisfare voglie ed esigenze dei rapitori. Lamiya è venduta più volte, cambia casa e “proprietario”, ma un giorno riesce a fuggire, <<sono libera>> pensa. Corre verso una libertà riconquistata, al fianco di un’amica, Katherine, 20 anni ed Almas, una bimba di 8 anni. Fuggono, corrono, si sentono libere, ridono, piangono, ad un tratto Lamiya ode il boato è investita da pietre sassi, terreno, vede Katherine ed Almas stese al suolo, e prive di vita, urla i loro nomi senza ricevere risposte. Lamiya piange, un’abbacinante luce investe la sua mente, successivamente il bagliore cede spazio alla penombra, infine all’indefinibile buio dei suoi splendidi occhi neri.

Giovanni Lafirenze

Foto: ekurd.net

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