di Sebastiano Pasero
Le bombe portano morte e distruzione, Nella vita di Agostino Pinna, artificiere per quasi 40 anni, hanno portato adrenalina, voglia di fare e allegria. «Disinnescare una bomba è una festa. Non bisogna farsi mai prendere dalla tensione. La prima cosa è sdrammatizzare, mettere a proprio agio la squadra, rassicurare chi ti sta intorno, compresa la popolazione», dice seduto nella sua casa di Nera Montoro, a Narni, a due passi dal deposito di munizioni che ha diretto per tanti anni. Quasi quarant’anni di artificiere, oltre vent’anni di comando: «Ma non ho mai voluto rinunciare alla parte operativa, ad entrare nei crateri pieni di fango o a lavorare sotto il sole, a toccare con le mani l’ordigno, perché quella per me è la vera vita dell’artificiere».
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Tritolo e salsicce secche Agostino Pinna una vita nel tritolo, ma il vero fuoco d’artificio è lui. Tanti aneddoti, tanta passione. La guerra alle bombe a colpi di salsicce: «Nella mia squadra c’era una regola, a un certo punto, soprattutto prima di una passaggio delicato, facevamo merenda, salsicce secche, prosciutto, pane cotto a legna, merenda sulla bomba, poi riprendevamo». Settemila bombe Agostino Pinna 64 anni, la stragrande maggioranza passati tra gli ordigni di ogni genere. «Ho duemila interventi attestati, nella mia carriera avrò neutralizzato ordigni di ogni tipo, almeno settemila. Bombe americane, inglesi, tedesche, italiane, munizioni di ogni genere. Persino russe, perché nella mia carriera di artificiere dell’Esercito ho lavorato anche al porto di Civitavecchia dove arrivavano i vecchi carrarmati sovietici che venivano fusi alle Acciaierie di Terni. Non era raro trovare munizionamento sia a bordo che nelle bocche da fuoco». L’artificiere per antonomasia. Il punto di riferimento per Umbria, Lazio, Marche, Abruzzo. E’ andato in pensione nel 2014. Ancora oggi il suo nome è evocato da chi affronta le emergenze legate al ritrovamento degli ordigni bellici. E’ accaduto anche nell’ultimo ritrovamento, quello di Borgo Rivo, a Terni. Più di qualcuno a dire: «Ah se ci fosse Pinna». Ognuna è diversa Lui maneggia con cautela bombe e modestia: «Non parlo mai di situazioni che non conosco direttamente, oggi le procedure di sicurezza sono cambiate radicalmente. Si creano fasce di rispetto molto ampie, la nostra stagione invece era basata sul giudizio che dava la squadra degli artificieri. Mi sono formato alla scuola di due maestri, i marescialli Scrofani e Cicchetta. Ogni ordigno ritrovato, a parità di modello, è diverso dall’altro, nel senso che lo stato di deterioramento, le modalità di ritrovamento, incidono molto, anche la costruzione, sempre a parità di modello, fa cambiare l’ordigno. Ad un certo punto gli americani hanno iniziato a produrre le loro bombe in Italia, a Bagnoli. In quegli ordigni non è raro trovarci dentro, sabbia o cemento, ce li mettevano le maestranze, forse nella speranza che così fossero meno devastanti». Le bombe parlano «Più che altro suonano, nel senso che io le ho sempre sentite battendole con un martelletto di bronzo, così capisci molte cose, la composizione, il loro stato». Una carriera iniziata da ragazzo: «Sono nato in Sardegna, a Bosa, a 17 anni ho fatto il concorso per sottufficiale per la scuola di Viterbo. Ho scelto gli artificieri perché le bombe mi sono sembrate sempre qualcosa di grande, sì, direi di dirompente», ride. «Una sfida. Finita la scuola mi hanno mandato quasi subito a Nera Montoro, doveva essere una destinazione di passaggio. Avevo parlato già con il colonnello per tornare in Sardegna, per stare vicino casa. Poi ho conosciuto Manuela mia moglie che è di Porchiano di Amelia. Non sapevo come fare per non andare più in Sardegna, ma il colonnello capi al volo e mi fece rimanere a Nera Montoro. Sono entrato da giovane artificiere, sono andato via da comandante, una bella soddisfazione». La paura «Non è per fare lo sbruffone ma poche volte ho avuto paura. Più che altro ero preoccupato per mia moglie e le mie due figlie, ma a loro non dicevo mai niente, non facevo sapere che la mattina andavo a neutralizzare un ordigno, quando avevo finito, prima di andare a pranzo con la squadra, chiamavo mia moglie e dicevo che la sera sarei tornato a cena. Di sicuro non ho mai avuto paura nella fase di spolettamento, perché le vere insidie, sono quando si fa brillare l’ordigno, quando si maneggia l’innesco e il plastico».
La regina delle bombe «Una volta arriva da Viterbo la segnalazione che un ruspista aveva trovato un cassone dell’acqua interrato, ma i vigili del fuoco non erano convinti. Andai di corsa ed era una bomba inglese da 4 mila libre, 20 quintali, una bomba molta rara per l’Italia, è grande quanto una Cinquecento, è l’unione di più bombe, ha tre spolette. La stavano portando al ferro vecchio».
A casa di Valentino Rossi «Mi chiamano a Tavullia, dove le villette sono gialle, in omaggio al Campione. Lo zio di Rossi stava facendo un garage, trova una bomba. Mi ricordo che la disinnescai con un coltellino perché aveva la spoletta in bachelite». I ferri del mestiere: «I miei maestri artificiere mi hanno regalato una chiave inglese lunga un metro, l’ho sempre portata con me». Il pericolo che rinsalda i legami umani: «Con la squadra si creano legami profondi, perché ognuno si fida dell’altro e perché passi ore intense che valgono mesi. Si creano legami con tutti quelli che di solito partecipano alle operazioni. Sono stato molto amico di Moreno Gubiotti, il presidente della Narnese, recentemente venuto a mancare all’improvviso. Gubiotti era uno che quando non c’erano risorse economiche a sufficienza, veniva a fare il movimento terra gratuitamente intorno alla bomba, e poi magari con l’escavatore la caricava sul camion. Aveva la Porsche, correva come un pazzo. Una volta andammo insieme ad Orvieto, dove avevano ritrovato un ordigno. Quando scesi dalla sua macchina e mi avvicinai alla bomba da 300 libre pensai finalmente di essere al sicuro». Il campo minato Apre la scotola che contiene quattro modelli di spolette e tanti ricordi: «A Sambucetole di Amelia con 300 bombe da mortaio avevano fatto un muro di drenaggio, in pratica per anni erano stati su un campo minato». La bomba che scompare: «Sul Paglia venne rinvenuta una bomba da mille libre, ma il giorno del disinnesco non la trovammo più perché una piena l’aveva portata sotto un ponte. Ci volle più a ritrovarla che a neutralizzarla». I momenti brutti: «Le occasioni di tristezza sono state quelle legate alle perizie per gli incidenti legati con gli esplosivi. Ho lavorato sulla scena dell’esplosione di Vicenza dove sono morti due giovani artificieri e un terzo è rimasto cieco. Così come alla fabbrica di fuochi di artificio di Castiglione in Teverina, dove morirono quattro persone, scene molto dure». Il petardo di Moreno La tristezza spazzata via dalla scopa della goliardia: «Gubiotti un giorno la fece grossa. Eravamo in via del Cassero, a Terni, nel cantiere dell’edificio che ospita la Cisl, lì venne ritrovato un ordigno. Appena completato il disinnesco, lui lanciò un petardo. Scoppiò il panico. Ci volle qualche minuto per spiegare a qualcuno che eravamo ancora tutti in vita e che non eravamo nell’aldilà». Ora l’orto, la caccia, il piccolo cane: «Quella vita non mi manca, anche se sto in trattativa per andare in Libia, per addestrare gli artificieri che si occupano di bonifiche legate alle grandi opere civili. Di sicuro farò l’apertura alle tortore. Darei indietro tutte le mie bombe, tutte le mie storie, per poterla fare insieme a Moreno, come ai bei tempi».
Foto-Fonte: http://www.umbria24.it/attualita/vita-le-bombe-lironia-esplosiva-agostino-pinna-col-sorriso-ne-disinnescate-7-mila