Cass. pen., sez. IV, 8 ottobre 2013 (dep. 19 giugno 2014), n. 26482, pres. Zecca, rel. Massafra, imp. Ietto e altro.
1. La sentenza in commento ha ad oggetto una curiosa fattispecie concreta: l’esplosione di un ordigno interrato – più volte segnalato alle autorità competenti e mai rimosso – risalente alla seconda guerra mondiale, con conseguenti ingenti danni alle costruzioni prossime alla sede di deflagrazione. Il caso, quasi di scuola, offre l’occasione di soffermarsi sul tema della posizione di garanzia incombente su sindaci e prefetti, nella loro veste di organi decentrati di protezione civile. La vicenda costituisce, inoltre, un buon esempio di come la figura deldisastro innominato colposo (ex artt. 434 e 449 c.p.) vada “maneggiata con cura”, se si intendono evitare pericolose frizioni con i fondamentali principi di legalità ed offensività del diritto penale.
2. Il caso di specie trae origine da una fortuita scoperta – risalente al luglio del 1995 – ad opera di una residente del comune di Ostiglia, nel mantovano. La donna, rovistando tra i vecchi documenti appartenuti al nonno, aveva rinvenuto copia di una lettera da lui indirizzata – nel gennaio del 1955 – all’allora sindaco del piccolo comune; la missiva denunciava la presenza, nella proprietà di famiglia, di una bomba da areoplano inesplosa, risalente al periodo della guerra ed interrata in profondità.
Allarmata dalla scoperta, la donna si era rivolta al sindaco del luogo, al quale aveva consegnato copia della missiva e riferito di avere appreso da un colloquio con la madre che il nonno, dopo la guerra, aveva effettivamente tentato di far bonificare l’area di sua proprietà; gli artificieri incaricati della bonifica tuttavia, pur avendo effettivamente individuato la presenza di un ordigno, non erano riusciti a estrarlo dalla sua sede per via di una serie di ostacoli che si erano all’epoca presentati. La bomba, insomma, non risultava essere mai stata rimossa.
Nell’agosto del 1995 il sindaco aveva segnalato l’esistenza della missiva al comandante della stazione dei Carabinieri del luogo. Solo nel marzo del 2001 tuttavia – al subentro di un nuovo comandante di stazione – si era provveduto a trasmettere l’informazione alla Prefettura di Mantova, che celermente aveva comunicato al COMFOD di Vittorio Veneto il nulla osta all’intervento di personale specializzato per la rimozione dell’ordigno. Nel dicembre dello stesso anno, il COMFOD aveva incaricato del sopralluogo sul posto la direzione del Genio militare di Padova e invitato la Prefettura ad indicare a chi andassero addebitati gli oneri dell’operazione (se al proprietario del terreno o al Ministero degli interni).
Il comando del Genio militare di Padova aveva, innanzitutto, avvertito tanto la Prefettura quanto la stazione dei Carabinieri di Ostiglia della necessità di evitare qualunque attività di scavo nella zona indicata come pericolosa; aveva poi eseguito il sopralluogo richiestogli nei primi giorni di gennaio del 2002 ed evidenziato che la ricerca richiedeva interventi ad una profondità minima di cinque metri, con un costo preventivabile di circa 7.500 euro; aveva quindi comunicato alla Prefettura di essere in attesa del via libera per procedere.
Nel novembre dello stesso anno, il comando del Genio militare di Padova aveva nuovamente scritto alla Prefettura, segnalando di non aver ancora ricevuto alcun riscontro né relativamente alla esecutività dell’intervento né riguardo all’indicazione del soggetto a cui addebitare gli oneri dell’operazione. Nessuna risposta era giunta al comando del Genio fino al 20 marzo del 2003, data in cui nel comune di Ostiglia – proprio nell’area indicata dalla missiva – una bomba era esplosa durante la notte,danneggiando gravemente le due abitazioni limitrofe alla sede della deflagrazione.
3. Nel settembre del 2010 il Tribunale di Mantova condannava I.G. – prefetto di Mantova alla data dello scoppio – e B.G. – sindaco di Ostiglia nella medesima data – avendoli dichiarati responsabili del reato di cui agli artt. 113, 434, 449 c.p. «perché in cooperazione fra loro […] per colpa consistita in negligenza, imprudenza imperizia e in particolare in violazione degli artt. 5, 14, 15 della l. 225/1992 in materia di protezione civile […] pur essendo stati investiti di specifiche attribuzioni omettevano di intervenire e di adoperarsi per ottenere l’emanazione di apposita ordinanza della Presidenza del consiglio dei ministri o del Ministro dell’interno atta a rimuovere un ordigno posto sotto una strada privata di uso pubblico […] mediante bonifica dell’area anzidetta al fine diprevenire un evento dannoso consistito nell’esplosione del medesimo ordigno che avveniva il 20 maggio 2003 per cause imprecisate nei giorni in cui nella zona erano in atto lavori di scavo per la costruzione di un condominio a più piani autorizzati dal sindaco […]cagionando il crollo dello stesso o di parte del medesimo derivando dal fatto pericolo per la pubblica incolumità nonché danni gravi e lesioni alle strutture portanti degli edifici e la formazione di un cratere».
Nel gennaio 2012 la Corte d’appello di Brescia dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati per intervenuta prescrizione del reato loro ascritto, confermando tuttavia le statuizioni civili. Gli imputati ricorrevano per cassazione, deducendo vizi relativi tanto allaconfigurabilità di una posizione di garanzia in capo al sindaco ed al prefetto in questi casi, quanto una erronea applicazione della legge penale in relazione all’interpretazione del reato di cui agli artt. 434 e 449 c.p.
4. La Suprema corte respinge i ricorsi degli imputati dichiarandoli infondati.
5. Per quanto concerne le doglianze relative alla presunta insussistenza di una posizione di garanzia in capo al sindaco ed al prefetto nel caso di specie, la Corte osserva che con la legge 225/1992 – istitutiva del Servizio nazionale delle protezione civile – le attività di tutela dell’integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi o da altri eventi calamitosi (art.1), sono state dal legislatore ampiamente decentrate[1].
Ciò è avvenuto, in particolar modo, attraverso la distinzione – operata dall’art. 2 della legge – degli eventi rilevanti ai fini delle attività di protezione civile in tre categorie:
a) eventi naturali o connessi con le attività dell’uomo che possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria;
b) eventi naturali o connessi con le attività dell’uomo che per loro natura ed estensione comportano l’intervento coordinato di più enti o amministrazioni competenti in via ordinaria;
c) calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari.
L’art. 15 l. 225/1992, che disciplina i compiti del sindaco, stabilisce che quest’ultimo – in qualità di autorità comunale di protezione civile(art. 15 c. 1) – al verificarsi di un’emergenza nell’ambito del territorio comunale assume la direzione e il coordinamento dei servizi di soccorso ed assistenza alle popolazioni colpite e provvede agli interventi necessari, dandone immediata comunicazione al prefetto ed al presidente della giunta regionale (art. 15 c.3); si tratta, evidentemente, dellagestione degli eventi di cui alla lettera a) dell’art. 2 della medesima legge: quegli eventi, cioè, che per le loro caratteristiche possono essere fronteggiati dalle amministrazioni competenti in via ordinaria.
Relativamente, invece, agli eventi di cui alle lettere b) e c) dell’art. 2 – quegli eventi cioè che per loro natura, intensità o estensione non possono essere gestiti dalla singola amministrazione ordinariamente competente – il c. 4 dell’art. 15 stabilisce che il sindaco chieda l’intervento di altre forze e strutture al prefetto, che adotta i provvedimenti di competenza coordinando i propri interventi con quelli dell’autorità comunale di protezione civile.
L’art. 14 l. 225/1992, che disciplina l’attività di organo decentrato di protezione civile del prefetto, afferma – specularmente rispetto a quanto già osservato in tema di compiti del sindaco – che al verificarsi di uno degli eventi calamitosi di cui alle lettere b) e c) dell’art. 2 l. 225/1992 quest’ultimo provvede, tra l’altro, ad assumere la direzione unitaria dei servizi di emergenza da attivare a livello provinciale, coordinandoli con gli interventi dei sindaci dei comuni interessati (art. 14, c. 2, l. b).
L’art. 3 della medesima legge, inoltre, stabilisce inequivocabilmente chesono attività di protezione civile – tra le altre – quelle volte allaprevisione e prevenzione della varie ipotesi di rischio, precisando che: «per previsione si intendono le attività dirette allo studio ed alla determinazione delle cause dei fenomeni calamitosi, alla identificazione dei rischi e alla individuazione delle zone del territorio soggette ai rischi stessi»; la prevenzione consiste, invece, nelle «attività volte ad evitare o a ridurre al minimo la possibilità che si verifichino danni conseguenti agli eventi di cui all’art. 2 l. 225/1992, anche sulla base di conoscenze acquisite per effetto delle attività di previsione».
Il quadro normativo, insomma, lascia pochi margini di dubbio. Ed anche la giurisprudenza di legittimità afferma compatta che «al sindaco, quale autorità locale di protezione civile […] compete la gestione dell’emergenza provocata da eventi naturali o connessi con l’attività dell’uomo […]; se questi eventi non possono essere fronteggiati con i mezzi a disposizione del comune, questi è tenuto a chiedere altri mezzi e strutture al prefetto, che adotta i provvedimenti di competenza coordinandoli con quelli del sindaco le cui attribuzioni hanno natura concorrente (e non residuale) con quelle del prefetto che ne ha la direzione. Ne consegue che in tale ultima evenienza, fino a quando il prefetto non abbia concretamente e di fatto assunto la direzione dei servizi di emergenza, il sindaco mantiene integri i suoi poteri e gli obblighi di gestione dell’emergenza ed in particolare quelli di allertamento e di evacuazione delle popolazioni che si trovino nelle zone a rischio, indipendentemente dall’esistenza di una situazione di urgenza»[2].
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