Ognuno recita il proprio ruolo, immerso in quella divina sensazione di devozione allo scopo comune: la realizzazione di un'opera d'arte, che anche la bonifica bellica sa idealizzare.

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Ognuno recita il proprio ruolo, immerso in quella divina sensazione di devozione allo scopo comune: la realizzazione di un'opera d'arte, che anche la bonifica bellica sa idealizzare.

Ricercatrici storiche del Centro Studi Gallo-Italico di Sicilia

Categories: Bonifica perché

L’operazione”Husky”

La decisione di invadere la Sicilia per conquistare l’Italia (ossia il “ventre molle d’Europa”) fu presa nel gennaio del 1943 durante la conferenza di Casablanca. Fu chiamata operazione “Husky” e segnò l’ingresso in guerra degli Stati Uniti d’America in Europa. Ma l’importanza dell’operazione, che in tutti i libri di storia scolastici viene liquidata in quattro righe, non fu solo tattica ma lo fu soprattutto dal punto di vista dell’impiego di mezzi e uomini. Fu la seconda più imponente operazione offensiva organizzata dagli Alleati anglo-americani contro le forze dell’Asse italo-tedesche, la più vasta in assoluto nel  settore del Mediterraneo; solo con l’invasione della Normandia, 11 mesi dopo, si impegnò un numero maggiore di uomini. Apparvero qui per la prima volta il DUKW, camion anfibio a 6 ruote, e LST, mezzo da sbarco per i carri armati. Nella fase iniziale vennero sbarcate ben 7 divisioni, di cui  3 inglesi, 3 americane e 1 canadese. Nell’area di terra tra Licata e Siracusa il 9 luglio del 1943 attorno alle ore 18.00 si riversarono 160.00 soldati, 4.000 aerei da combattimento e da trasporto, 285 navi da guerra, due portaerei e 14.000 automezzi, 1.800 cannoni e 600 carri armati. Iniziarono i bombardamenti su Caltanissetta, Siracusa, Palazzolo Acreide e Porto Empedocle, mentre furono lanciati paracadutisti per occupare postazioni militari, per interrompere le comunicazioni telegrafiche e le linee elettriche. Alla fine della campagna, la presenza alleata assommò a 478.000 soldati, di cui 250.000 britannici e 228.000 americani. Solo nel golfo di Gela le forze alleate trovarono un’energica resistenza, che costò la vita a 197 soldati italiani, che le forze tedesche schierarono in prima linea. Nei primi tre giorni dallo sbarco, in un’operazione a tenaglia, rapidamente americani e inglesi conquistarono la parte sud-orientale della Sicilia grazie alla superiorità di aerei e di moderni automezzi. I soldati italiani si arresero a migliaia, ma molti riuscirono anche a fuggire, dopo essersi spogliati della divisa e avere indossato abiti civili. Gli uomini al comando di questa operazione furono l’ammiraglio sir Andrei Cunningham, comandante in capo della marina inglese nel Mediterraneo per le forze navali; il Maresciallo dell’Aria sir Arthur Tedder per le forze aeree; il generale sir Harold Alexander per le forze di terra; il generale Eisenhower comandate in capo di tutte le forze alleate impegnate nell’operazione, il quale formò due unità operative: la task force orientale (britannica) comandata dal generale sir Bernard Law Montgomery, e la task force occidentale (americana), comandata dal generale George Patton. L’imponente flotta di 3200 navi riunite per l’operazione Husky fu la più gigantesca che si sia mai vista nella storia mondiale. La Sicilia venne liberata in soli 39 giorni quando, il 17 agosto, le truppe Alleate entrarono a Messina dopo aver conquistato tutte le altre importanti città (Palermo il 22 luglio e Catania il 5 agosto) e dopo essere passate velocemente di paese in paese, costringendo i tedeschi alla fuga verso la Calabria tramite lo stretto di Messina. Infatti, la guerra in Sicilia si concluse con un incredibile esempio di disorganizzazione alleata, che permise a italiani e tedeschi di passare lo stretto e riparare in Calabria quasi senza subire perdite e con la quasi totalità dei mezzi, perchè nella pianificazione della conquista della Sicilia nessuno aveva previsto la chiusura dello Stretto di Messina. Ma nonostante il breve lasso di tempo, la popolazione civile soffrì moltissimo poiché l’isola fu sottoposta dagli americani a durissimi bombardamenti preparatori attuati in ogni paese. Contrariamente alle previsioni, i morti da entrambe le parti furono ingenti: molto spesso le forze tedesche decidevano di mandare in prima linea i nostri soldati italiani che erano anche malnutriti, malvestiti e scarsamente equipaggiati.

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(Walter Fries)                             (Lucian Truscott)                (Lyle Bernard)

La linea dell’Etna o San Fratello. Quando la 45a Divisione Statunitense, sulla costa settentrionale, girò a est sulla strada statale 113, si scontrarò con la 29a ‘Panzergrenadier-Division’ tedesca (comandata dal Generale Maggiore W. Fries). La strada costiera corre lungo una stretta striscia tra le montagne ed il mare e attraversa corsi d’acqua che scendono dalle cime delle montagne tra alture ripide. Questa combinazione di alture e corsi d’acqua furono linee di difesa naturale e i tedeschi ne approfittarono, operando demolizioni e aggiungendo campi minati. I Panzergrenadier di Fries fermarono la 45a divisione per tre volte: il 23 luglio presso il fiume Roccella, il 25 a Pollina e, il giorno dopo, sulla linea del fiume Tusa a ovest di Santo Stefano. Ogni volta gli americani dovevano combattere duramente per guadagnarsi l’attraversamento del fiume o per respingere il nemico dalle cime dei monti: spesso i tedeschi potevano essere sgomberati solo da pesanti bombardamenti. Il 31 luglio, dopo una settimana di sanguinosi combattimenti, la 45a Divisione era ancora a Santo Stefano, mentre verso l’interno la 1a Divisione stava combattendo lungo la statale 120 contro la 15a ‘Panzergrenadier-Division’ e riuscì a entrare a Nicosia il 28 luglio. Lo scontro si fermò del tutto sulla linea dell’Etna (Etnastellung o Linea San Fratello oppure ‘Linea Hube’) che iniziava da San Fratello e dai Monti Nebrodi e proseguiva per Cesarò, Troina, Adrano, Biancavilla fino ad Acireale per molte decine di chilometri. La linea dell’Etna ancorò questa serie di città chiave, la caduta di una delle quali avrebbe potuto scardinare l’intera posizione: a difenderla da sud a nord c’erano la ‘H. Goering – Division’ di Conrath, la 15a Panzergrenadier-Division di Rodt e la 29a Panzergrenadier-Division di Fries, mentre sparsi qua e là c’erano spezzoni delle divisioni italiane ‘Aosta’ e ‘Livorno’. San Fratello, Troina e Adrano erano sorvegliate da una o più postazioni: Adrano ne aveva ben 4, mentre da noi venne la 29a Panzergrenadier-Division che aveva combattuto pochi giorni prima a Santo Stefano. I paesi della linea San Fratello erano fortezze naturali costruite in cima alle montagne e il generale Hube aveva dato l’ordine che ciascuna venisse mantenuta il più a lungo possibile per guadagnare tempo e consentire a mezzi e truppa il passaggio dello stretto. Per l’occasione, nelle zone teatro delle operazioni belliche c’era un notevole concentramento di soldati ed artiglieria. Numerose furono le casematte costruite per tempo nei luoghi impervi; le poche strade erano strette e disseminate di mine mentre le colline, coperte di boschi, vennero fortificate con artiglieria pesante. Questa situazione, favoriva chi era arrivato per primo in loco, cioè i soldati dell’Asse, così per breve tempo i pochi difensori ebbero il sopravvento sui molti aggressori. Dopo la caduta di Catania, Adrano, Misterbianco, Biancavilla, Paternò e Troina i tedeschi ripiegarono su Cesarò. Solo alla 29a Panzergrenadier di San Fratello, che qui arrivò a partire dalla fine di luglio, fu detto di resistere fin quando fosse stata costretta al ritiro: la linea dell’Etna era stata rotta. Questa celebre divisione era composta dal 15° e dal 71° Reggimento motocorazzati ed era soprannominata “Falco”: era stata annientata a Stalingrado ma fu poi ricostituita nella primavera del 1943.

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L’incrociatore Savannah che nella notte tra il 7 e l’8 agosto attuò lo sbarco a S. Agata Militello.

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L’incrociatore Philadelphia che supportò lo sbarco e insieme al Savannah attuò i bombardamenti nel nostro centro

I fatti di casa nostra: lo sbarco di Sant’Agata. Dalla fine di luglio fino a metà agosto le contrade di campagna e le strade del nostro paese furono invase dalla guerra con la forza pari di un uragano, diventarono teatro di avvenimenti storici e per circa una quindicina di giorni i sanfratellani soffrirono la fame, vissero con la paura ogni volta che veniva dato l’ordine di evacuare il paese e molti di essi furono colpiti dal lutto. Ingenti furono i danni alle case in ogni quartiere, specie nella parte alta del paese. La chiesa di San Benedetto, che sorgeva dove oggi si trova la villa comunale, fu interamente distrutta dalle bombe ma la statua di San Benedetto fu miracolosamente recuperata intatta dagli abitanti. La casa del signor Agostino Collura, sita in località Passo dei Tre, venne minata e distrutta da parte del comando tedesco in quanto la stessa ricadeva su uno dei tre punti trigonometrici che univano le mappe militari, impedendo così l’orientamento nelle missioni di bombardamento americane. Anche il ponte sul fiume Inganno fu completamente distrutto dai bombardamenti che vennero attuati da gruppi di 10-12 bombardieri statunitensi per volta. La 29a Panzergrenadier-Division però, respinse facilmente un attacco dopo l’altro della 3a Divisione statunitense. Perfino il fuoco dei cannoni e l’uso di fumogeni non riuscì a sloggiarli. In c.da S. Antonio il comando tedesco aveva predisposto un telegrafo che riusciva a comunicare con la postazione sita in località Inganno: lo presidiava un solo soldato. Secondo le testimonianze raccolte tutta la zona, dal Ponte Inganno fino ai boschi che si stendono a monte del centro abitato, fu minata. Diverse erano le postazioni tedesche nel nostro territorio: in c.da Ciccaldo, in c.da Selleria, in c.da Barberino, in c.da Pulezo, in c.da Congiontino, in c.da Grazia presso l’omonima chiesa, in c.da Nicetta, in c.da Castellaro. Quest’ultima località fu sede della battaglia più cruenta della zona, che oggi ricade nel territorio del vicino comune di Acquedolci: in questa battaglia persero la vita 16 soldati della divisione italiana Assietta. Il 6 agosto, non riuscendo la 3a Divisione statunitense a sfondare questo fronte neanche con i pesantissimi bombardamenti attuati, i comandanti Bradley e Truscott decisero di lanciare un anfibio ‘end run’ (cioè fine corsa) per entrare nelle posizioni del nemico. Questa prima operazione a ‘salto di rana’ fu effettuato nella costa a nove miglia est dal Monte San Fratello nella notte tra il 7 e l’8 agosto, fu un successo misto. Per lo sbarco fu utilizzato l’incrociatore americano Savannah CL-42 (9.475 tonnellate, 185 metri di lunghezza, una velocità di 59 chilometri orari, una capacità di trasporto tale da contenere 4 bombardieri e un raggio d’azione per un lancio di oltre 20 km), che aveva la sua base a Palermo. Dopo lo sbarco fu supportata per i successivi bombardamenti dall’incrociatore Philadelphia CL-41 (9.700 tonnellate, 60 chilometri orari di velocità, 185 metri di lunghezza). Questi due incrociatori, per evitare che venissero colpiti dal fuoco nemico, durante il giorno non facevano altro che spostarsi: essi attuarono i bombardamenti lungo tutta la costa tirrenica su ordine del comando. Truscott mise in postazione il 2° Battaglione rinforzato con la sua 30a Fanteria. La ‘Task Force Bernard’, che così venne chiamata dal nome del Tenente Colonnello Lyle Bernard a capo dell’operazione, sbarcò senza trovare opposizione a Sant’Agata di Militello, proprio dietro la linea San Fratello. La principale forza della 3a divisione, dopo questa fiera battaglia, ruppe la linea e subito dopo soccorse la ‘task force’. Durante lo sbarco, la 29a Panzergrenadier di Fries iniziò il ritiro e il grosso del gruppo se ne andò appena in tempo, lasciando nella parte alta del paese solo pochi uomini, secondo quanto riferitoci da alcune persone anziane. Secondo le testimonianze raccolte, le forze Alleate non sapevano di questo ritiro e non avevano ancora individuato la posizione esatta del nemico: non riuscendo a stanarlo nonostante il paese fosse stato sottoposto a duri bombardamenti, sia aerei e sia dall’incrociatore attraccato al largo delle coste santagatesi, avevano deciso di attuare un definitivo bombardamento a tappeto su San Fratello. A quel punto, alcuni sanfratellani decisero di indicare ai soldati americani l’esatta posizione del nemico nella parte alta del paese e, grazie a loro e al Colonnello Bernard che liberò il nostro centro, si evitò che esso fosse raso al suolo. Negli ultimi due giorni un nutrito numero di soldati tedeschi in ritirata si rifugiò in località Maulazzo. Dunque, dopo i cruenti bombardamenti di venerdì 6 e lo sbarco avvenuto nella notte di sabato 7, domenica 8 agosto gli Americani entrarono finalmente a San Fratello: su molti balconi sventolavano lenzuoli bianchi, segno che la popolazione era stanca della guerra. Arrivarono nel quartiere Convento passando dalla località Pizzi, nel quartiere Montenuovo partendo dalla località Furiano e sostenendo una dura battaglia in c.da S. Lena per poter attraversare i boschi. Andò loro incontro con bandiere bianche il podestà Mancuso Benedetto, accompagnato dal signor Cirino Lando e una decina di altri uomini. Nelle strade del paese ricevettero la calorosa accoglienza dei sanfratellani che applaudivano al loro passaggio e loro in cambio gettavano caramelle e biscotti ai bambini. Gli Alleati stabilirono la sede del comando in Via Generale Di Giorgio al numero 39 nell’abitazione della signorina Versaci, e questa fu poi successivamente anche la sede del governo provvisorio dell’AMGOT. La 3a Divisione raggiunse nuovamente Bernard l’11 agosto: egli aveva perso 177 uomini… che si erano sacrificati per la libertà del nostro centro! E ricordiamo che la media di età degli arruolati americani andava dai 18 ai 24 anni: ragazzi che si arruolavano volontari con la speranza e l’illusione di cambiare e migliorare il mondo. Il secondo sbarco anfibio fu organizzato l’11 agosto a Brolo e, dopo la vittoria, la corsa continuò spedita verso Messina e verso la conclusione dell’operazione.

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Casa Collura in c.da Passo dei Tre (la casa fu poi ricostruita e oggi ospita un ristorante).

Ricordi di guerra…

Riuscire a vedere i segni che la guerra impresse sulle cose è ormai quasi impossibile, perché il tempo e la fatica della ricostruzione ne hanno cancellato le tracce; ma vedere i segni che la guerra ha impresso sul volto degli uomini è cosa possibile ancora oggi se si ha la pazienza di ascoltare i nostri anziani. Per descrivere gli orrori che i nostri soldati videro durante la campagna di Russia, è più efficace ascoltare la testimonianza di chi ha combattuto in quei luoghi gelidi ed inospitali, piuttosto che la distratta lettura di un libro di storia. Un anziano originario di S. Teodoro e che viveva a Caltagirone, il sig. Giuseppe Sirna, raccontò a mio padre dei suoi scarponi bucati, dei suoi piedi gelati, dei fucili italiani che sparavano solo 6 colpi alla volta contro i 24 di quelli russi, delle bucce di patate che costituivano l’unico cibo… Il fratello di mio nonno, Ricciardi Benedetto, rischiò la sua vita per salvare il cugino primo, un suo omonimo, durante la ritirata: non poteva più camminare giacchè i suoi piedi erano ormai congelati e chiese di essere lasciato lì… ma questo mio prozio tanto coraggioso, mettendo a repentaglio la propria vita, se lo caricò sulle spalle e si salvarono entrambi. Oggi non esisterebbe nessuno dei Ricciardi residenti ad Acquedolci se il loro capostipite non si fosse salvato! Due fra i pochissimi che sono tornati vivi da quel paese freddo e immenso dove la maggior parte trovò la tomba…

Mia nonna, Fazio Rosalia, mi raccontava sempre di quando mio nonno nascose il grano sotto il pavimento della casetta di campagna in contrada Puridda e di quando i tedeschi arrivarono lì prendendo tutto quello che avevano, compreso il mulo al perentorio grido di “Requisisc mul!”. E ancora il signor Catanzaro Luigi ci raccontò di quando le sue donne facevano il pane di notte per evitare di essere colpiti dalle bombe americane, tenendo una grande coperta stesa davanti al forno per nascondere i bagliori del fuoco alle postazioni tedesche o di quando due soldati tedeschi bussarono a casa sua per chiedergli due tavole di legno: servivano da lettiga per trasportare un compagno ferito. Ricciardi Serafina, la sorella di mio nonno, mi raccontò di quella volta che vide un soldato tedesco, un ragazzo giovanissimo, che piangeva seduto su dei gradini in via Gioberti mentre guardava la foto dei suoi familiari… o di quella volta che un soldato tedesco puntò alla tempia del fratello il fucile per ordinargli di portare in barella un compagno al ricovero allestito per i feriti nel quartiere Buglio. Mi ha raccontato di quando, per scampare ai bombardamenti, si rifugiò con la famiglia nella casa che allora fungeva da palmento, sita in quel quartiere nella via Generale Di Giorgio  numero 164, dove avevano trovato riparo per due settimane più di 50 persone, fra cui il medico di allora il Dr. Ricca Salvatore che, in quell’occasione, scelse di stare con i propri compaesani. Il signor Palazzo Benedetto, che era stato podestà durante il periodo fascista, ospitò oltre 50 persone

durante i bombardamenti nel pianoterra della sua abitazione adibito a frantoio: si trattava per la maggior parte di donne e bambini. Al piano superiore, invece, trovarono riparo alcuni ufficiali tedeschi.

Il sig. Lombardo Salvatore, invece, nel 1943 era un bambino di soli 11 anni e i soldati americani volevano prendergli i due buoi che tiravano l’aratro: dopo aver appreso che era orfano gli lasciarono  gli animali e gli regalarono un soldo d’argento.

Più di un anziano, invece, ci ha raccontato della visione che un nutrito gruppo di soldati americani avrebbe avuto in località Inganno: un uomo dalla pelle nera e vestito con un saio avrebbe dato da bere a tutti quanti con una sola borraccia, che incredibilmente sembrava non svuotarsi mai.

Il signor Scavone Luigi, che durante i giorni duri dei bombardamenti stava nascosto insieme ad altri dieci persone nell’abitazione di Via Buonarroti 22, ci ha parlato di un cacciabombardiere tedesco colpito durante i frenetici giorni dei bombardamenti in località “Pizz di ghj’iengiu”(Pizzo degli Angeli): morirono 6 tedeschi, 2 piloti e 4 membri dell’equipaggio. Le sei casse di legno che furono costruite da un falegname del paese, poste su un carro, partirono dalla Casa del Fascio sita in Via Saverio Latteri al numero 34 (successivamente fu adibita a pretura), accompagnate da un corteo composto dall’arciprete Salanitro che camminava dinanzi alle bare con una croce in mano, dalle autorità, dai bambini col costume da ballila, dalle “piccole italiane” e dalla folla. Dopo il discorso solenne dell’arciprete i camion del Comando Tedesco trasportarono le salme fino a Catania.

La signora Di Bartolo Felicia ci ha raccontato di come una bomba squarciò il piano superiore della sua casa: con l’aiuto dei vicini e con gli occhi pieni di polvere, i genitori trasportarono il maggior numero di brande  nello scantinato e ivi passarono con i vicini gli ultimi giorni di bombardamenti mangiando solo pane, mentre altre sette famiglie del quartiere si rifugiarono negli scantinati di Palazzo Mammana.

Anche il signor Di Bianca ospitò una cinquantina di persone nello scantinato della propria abitazione.

La signora Rosalia Scavone, nascosta con la famiglia nelle campagne di c.da Buotto chiusa nella casetta rurale, un giorno ha assistito al ritiro dei soldati tedeschi che andavano verso il fiume: il rumore degli scarponi in marcia durò più di venti minuti!

Il mio bisnonno Di Franco Giuseppe si nascose con la famiglia in contrada Pirrera, nell’appezzamento di terreno del signor Lo Cicero Giuseppe, portando con sè Carmelo Cuffari, un amico di famiglia che, all’arrivo degli Alleati, volle andare a casa a prendere i familiari. Il mio bisnonno lo accompagnò in paese ma qui gli americani li presero entrambi prigionieri: i più giovani furono impiegati in tutti i lavori di fatica mentre al mio bisnonno, che era già anziano, fu ordinato di prendere l’acqua da bere per i soldati.  Alla vista di quei cadaveri messi a terra in fila non toccò cibo! L’amico Carmelo, per via dei figli piccoli, fu trattenuto solo poche ore e poi gli fu consentito di tornare a casa. Al primogenito, che era andato a trovarlo, fu tolto il pane ed il formaggio che aveva portato al padre. Il luogo in cui furono portati e in cui allora gli Alleati stabilirono il loro quartier generale e ove si accamparono si chiamava “Vadan di la Veu” (l’area pianeggiante che si estende a vista d’occhio sotto l’odierna Piazza Federico II). Questo fu il luogo in cui gli Alleati portarono tutti i cadaveri dopo averli raccolti da ogni dove ed i sanfratellani in quei caldi giorni di agosto dovettero assistere al triste spettacolo dei camion che passavano per le strade del centro piene di corpi accatastati. Mia nonna Eloisa e il fratello Francesco erano tornati in paese lo stesso giorno in cui era salito il padre perché si erano preoccupati non vedendolo tornare: alla vista dei cadaveri lungo la strada, mio zio mise la sua giacca sulla testa di mia nonna per impedirle di guardare. Prima di giungere a casa incontrarono il soldato piemontese a cui tante volte avevano dato da mangiare mentre si trovavano in campagna e chiesero notizie del compagno Gianni: la notizia della sua morte gettò ancora di più nello sconforto mia nonna, già preoccupata per la sorte del padre. Due giorni dopo, tornando a casa sano e salvo a stomaco vuoto, il mio bisnonno meditò nel suo cuore pensieri tristi e parlò pochissimo. Quelle generazioni e anche la generazione di mio padre, nata in quel periodo e cresciuta in povertà negli anni difficili del dopoguerra, hanno vinto la loro battaglia perchè hanno saputo risollevarsi e ricostruire una nazione all’insegna dei valori umani e della democrazia…

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San Fratello (“Vadan di la Veu”), 8 agosto 1943: i prigionieri italiani catturati dalla 3a Divisione statunitense aspettano la distribuzione dell’acqua.

Le testimonianze

 

“Ricordo ancora che, in quel mese di luglio del 1943, i tedeschi requisivano il grano. Se per caso si pensava di nasconderlo, trovavamo allo sbocco di tutte le strade del paese che conducevano nelle campagne le cosiddette camice nere, che ce lo portavano via immediatamente. Era fortunato chi riusciva a nasconderlo nelle campagne: nottetempo, lo si prendeva per portarlo al mulino di Pressamurata per macinarlo.”

(Mammana Teresa)

 

“In località Castellano si nascondevano i tedeschi e, in una casetta rurale adiacente alla nostra proprietà, nascondevano roba da mangiare e sacchi di riso.

Questi soldati ci rubarono di tutto, scardinarono persino il balcone per ricavarne legna per il fuoco, rubarono le nostre galline e, sbattendole sulle tavole del letto, le uccidevano per mangiarsele.

Mi ricordo che ci siamo rifugiati in località San Giorgio, esattamente nella grotta sotto il Monte San Fratello; restammo lì otto giorni ed eravamo in tanti… una trentina di persone in tutto.

Abbiamo visto che in paese, sul campanile della vecchia chiesa San Nicolò sventolava un enorme lenzuolo bianco, mia madre svenne per la contentezza e mio fratello se la caricò sulle spalle per portarla in paese… presto tutto sarebbe finito.

Durante il cammino ci fermammo a Porta Sottana presso una conoscente e mia cognata Rosalia impastò un pò di farina con acqua e insieme alla padrona di casa cucinarono le frittelle; nel frattempo accorreva un gruppo di soldati americani e mio fratello Salvatore portò anche a loro quella che per noi era una leccornia.”

(Di Pietro Benedetta)

 

Montalto Benedetto (12.04.1914 – 07.08.1943)

Ho deciso di intitolare questa pagina ‘la storia siamo noi’ perchè la storia di ogni persona si inserisce nella trama della storia determinandone gli eventi… ogni microstoria determina gli eventi.

Il nostro compaesano Montalto Benedetto è morto il 7 agosto del 1943, quando a San Fratello erano giunti gli alleati. Si tratta di uno dei due civili morti per mano dei tedeschi a San Fratello, ma la sua storia personale è viva nel cuore e nei ricordi di tutti gli anziani per altri motivi.

Benedetto era un uomo buono, generoso e coraggioso, perciò non esitò quando si trattò di aiutare alcuni soldati americani feriti, ospitandoli nella sua casetta di campagna in c.da Selleria. Questo suo gesto nobile scatenò le ire dei soldati tedeschi che, volendo dare un monito a tutti gli abitanti, lo catturarono e nel bosco appena fuori dal nostro centro abitato lo costrinsero a scavare una fossa seppellendolo vivo e facendolo morire nel peggiore dei modi. In seguito il suocero, non vedendolo tornare, si mise alla ricerca del genero ma purtroppo morì a causa dello scoppio di una mina. Nel giro di poche ore la signora Di Franco, rimasta vedova a soli 21 anni con due bambine piccole, perse non solo il marito ma anche il padre… ed entrando nella loro casa abbiamo avuto l’impressione che questa tragedia sia avvenuta da poco tempo perchè ancora vivo è in loro il dolore e lo sgomento.

Abbiamo raccolto la triste testimonianza di due anziani di San Fratello che il giorno successivo della scomparsa del signor Montalto si trovavano nei pressi della località Zirbetto e, visto che il conflitto nella nostra zona volgeva al termine, durante il loro cammino per il rientro in paese sentirono dei lamenti. Si diressero verso il punto da cui proveniva la voce e trovarono un soldato americano graduato che giaceva a terra con una ferita all’addome. Il soldato chiese da bere e uno dei due, che si era allontanato dal luogo per prendergli l’acqua, udì le disperate grida di richiamo del suocero del Montalto che cercava il genero. Dalla fonte, l’amico lo chiamò e gli andò incontro, poi insieme si recarono sul luogo ove giaceva il ferito. Giunti a destinazione il pover’uomo chiese subito notizie del genero al soldato, ma questo nulla seppe dirgli poiché avendo tentato di difendersi fu abbandonato per la strada dopo essere stato ferito e i militari tedeschi avevano speditamente proseguito la loro folle corsa con lo sfortunato prigioniero.

I due sanfratellani ripresero la strada di ritorno verso casa: durante il cammino, incontrando militari statunitensi, li informarono dell’accaduto ed essi si recarono subito sul luogo per soccorrere il compagno ferito.

 

Vane furono le ricerche dei familiari anche nei giorni seguenti e dopo ben 16 giorni il corpo di Montalto Benedetto fu ritrovato sepolto a pochi metri da dove giaceva il soldato americano ferito: quelle bestie umane, dopo aver abbandonato il soldato, non avevano fatto molta strada!

Il corpo fu identificato solo grazie all’abbigliamento: Montalto Benedetto, ironia della sorte, indossava una camicia che gli era stata mandata dai parenti che abitavano negli Stati Uniti e che, nella tasca all’altezza del petto, recava impressa la bandiera statunitense…

Era stato interamente sepolto, ad eccezione dei piedi che fuoriuscivano dal terreno, e la mano destra  era posata sulla faccia come un estremo gesto di difesa: noi speriamo che questa storia sia un momento di riflessione per le giovani generazioni, affinché mai più si ripeta l’orrore di quei giorni!

Dopo quasi 63 anni, Benedetto sembra volerci parlare ancora della sua storia, che diventa un monito alla guerra e ci consegna un’eredità preziosa: ideali di pace, fratellanza, generosità e altruismo disinteressato che nella società di oggi sembrano sopiti. E per questo possiamo chiamarlo eroe.

A questo proposito ci viene in mente un passo del Vangelo in cui Gesù dice “avevo sete e mi avete dato da bere, avevo fame e mi avete dato da mangiare, ero malato e mi avete curato” e Benedetto ha fatto tutte queste cose verso dei soldati rimasti feriti, di qualsiasi parte essi fossero… perchè siamo sicure che, se al posto di quei soldati americani ci fossero stati soldati tedeschi, Benedetto avrebbe fatto la stessa cosa.

Altre testimonianze affermano che le ire dei soldati tedeschi appostati in c.da Selleria sarebbero state provocate dal fatto che considerarono il signor Benedetto una spia avendo egli svelato agli Alleati preziose informazioni sul nemico…

Una ricerca storica seria si basa sull’esame di testimonianze dirette e di documenti, sull’esposizione dei fatti oggettivi: dunque, nessuno di noi può affermare con certezza ciò che quel giorno avvenne all’interno di quella casetta e ciò che uscì dalle loro bocche.

Se ci è consentito esprimere un nostro parere personale, pensiamo che Benedetto abbia dato prova di grande coraggio e civiltà se ha svelato notizie utili per il comando americano: non dimentichiamo che i Savoia diedero l’Italia in mano a Mussolini, il quale a sua volta la consegnò ad Hitler causando indirettamente morte, distruzione e rovina.

L’altra civile uccisa per mano dei tedeschi fu la signora Santoro Arcangela, di anni 35, moglie del signor Scaglione. Fu freddata dai tedeschi nel quartiere Crocifisso l’8 agosto 1943 mentre erano ancora in corso gli ultimi combattimenti fra i pochi soldati tedeschi rimasti nella parte alta del paese e gli Alleati: secondo le testimonianze raccolte, uno dei due soldati tedeschi che faceva fuoco dalla mitragliatrice posta proprio sullo spazzale antistante la chiesa del SS. Crocifisso, fu colpito dal fuoco nemico e precipitò giù dalla ringhiera che lo delimita, arrivando nella rampa sottostante.

La signora Santoro, sarebbe uscita dalla propria abitazione con l’intento di sfilare gli scarponi dai piedi del soldato morto ma il compagno, affacciatosi dalla ringhiera, fece fuoco sulla donna uccidendola.

Tristi tempi quelli se pensiamo che una donna abbia perso la vita semplicemente per un paio di scarponi: quando la povertà e la disperazione annientano la dignità umana, la sopravvivenza detta gesti estremi!

Ammonta a 16 invece, il numero di civili morti durante la guerra a causa dei bombardamenti o per aver accidentalmente calpestato delle mine: Carroccio Innocenzio, Cortese Carmelo, Celsa Cirino, Di Piazza Giuseppe, Di Franco Luigi, Granza Rocchetta Francesco, Granza Rocchetta Rosario, Galati Pontillo Sardo Agostino, Lo Cicero Carmelo, Nicolosi Antonino, Provvidenza Salvatore, Salanitro Salvatore, Carroccio Maria, Cuffari Cirino, Versaci Benedetto. Infine, Bellitto Salvatore che muore l’8 agosto 1943 per aver calpestato una mina in c.da Perdichino mentre trasportava in casa i fasci di grano appena tagliati.

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Nicolosi Antonino (nato il 22 agosto 1929) aveva solo 14 anni quando il 4 agosto 1943 venne colpito nel quartiere di Porta Sottana durante un bombardamento degli Alleati. Era uscito di casa per recarsi al magazzino per prendere una balla di fieno: stava riposando seduto su dei gradini quando una bomba lo colpì alle gambe. Fu trasportato d’urgenza all’infermeria allestita presso le suore del quartiere Asilo: moriva dopo un’atroce agonia il giorno stesso nonostante i medici tentavano di salvarlo attuando l’amputazione delle gambe.

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Granza Rocchetta Francesco (il primo a sinistra), morì il 13 agosto 1943 a soli 38 anni in c.da Ranieri: vi si era recato insieme a Granza Rocchetta Rosario (appena adolescente) e a Galati Pontillo Sardo Agostino (nato nel 1939 e morto a soli 14 anni, per prendere il mulo che sarebbe servito per trasportare il grano. Si sedettero presso una fonte per riposarsi e bere: il signor Francesco prese in pieno una mina e morì sul colpo mentre i due ragazzi, rimasti feriti, morirono dopo una lunga agonia. La vedova, che prese una pensione di soli 45.000 lire al mese ben sette anni dopo, ha dovuto crescere da sola ben quattro bambini: una di quattro mesi, uno di tre anni, uno di otto e una di sei.

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Cuffari Cirino si trovava in c.da Timpone Rocca quando fu colpito dalla scheggia di una bomba. Dopo essersi fasciato il braccio corse per recarsi all’infermeria allestita presso le suore del paese: sfortunatamente quel giorno non c’erano medici, così fu trasportato a Naso ma moriva dissanguato a soli 33 anni.

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Di Piazza Giuseppe (16.03.1902) morì colpito da una mina in località Mazzaporro il 29 agosto 1944.

Sale a 18 il numero delle vittime colpite da ordigni bellici se aggiungiamo i due ragazzi morti negli anni 50 a causa delle mine antiuomo. Armeli Antonino trovò una mina in c.da Pirrera e la portò in casa per giocarci: moriva l’1 aprile 1951 a soli 15 anni.

mancuso

armeli_antonino

 

 

 

 

 

 

 

 

Mancuso Antonino                             Armeli Antonino

 

Mancuso Antonino (nato il 10 gennaio del 1951) morì mentre stava giocando con una  mina l’8 marzo del 1961 a soli 10 anni.

San Fratello così paga il suo pesante tributo alla guerra con un totale di 20 civili e 231 soldati.

cassara_giuseppe gambitta_antonino

       

Cassarà Giuseppe (15.10.1906)                Gambitta Antonino (15.11.1919) muore in Jugoslavia il

muore in Grecia il 3 febbraio 1944.       27 gennaio 1943: verrà portato a S. Fratello il 17.04.93

latteri lo_cicero

Latteri Benedetto (02.06.1916)            Lo Cicero Benedetto (19.01.1922) muore in Russia
                    muore in Germania il 25 gennaio 1944.           l’11 settembre 1942: verrà portato a S. Fratello
                                                                          il

 17.04.1993.morello tripodi

 Il tenente Morello Salvatore (26.02.1914)              Tripodi Antonino (08.06.1908)
Muore il 21 marzo 1941.                      risulta disperso nel giugno 1943.  

Sau na rruosa

Di uogg cilestr
vistìj di malincunìa
na strära d’amarozzi
chi arb li parti dû cuor
e u traveghj chi manau
scavea la fecc
Li paradi son accumpagnieri
di antiegh dulaur
e di passiuòi amucieri
cuscì sanza chi mi ng’adaun
mi mott a spassièr
saura di n fieu
suspas ntô Tamp
N mumant prima
mi parta duntean
puoi mi cunusg ndarrrièr
Li stuoriji dû passèa
mi sbattu di zzea e di dea
cam u vant fea ngulèr
li fuoghji spearsi
U miea cuor adivanta
u spichjieu di chi mi pearda
di chi pirdò la vita
pi n per di stuvaluòi
o p’airèr a chercun
Fili di surdèi mearciu
vers la vita
e fili di surdèi nterra
ien la fecc ncumighjiera
Assitea a n scalan
vicc n surdèa chi ciangiaia
e saura dû piett
na fotografia tinaia
Ara i cipress accarozzu
u rrigard di carausg
chi darmu scurdèi
sanza u cunfart
di na rruosa chi fea sciar
di rrispiett e di piatèa

(Rosalia Ricciardi)

Solo una rosa

Due occhi celesti
vestiti di malinconia
una strada d’amarezze
che apre le porte del cuore
e il lavoro che presto
ha scavato il viso
Le parole sono accompagnate
di antichi dolori
e di passioni nascoste –
così senza accorgermene
mi metto a passeggiare
sopra un filo
sospeso nel Tempo
Un momento prima
mi porta lontano
poi mi conduce indietro
e le storie del passato
mi sbattono di qui e di lì
come il vento fa volare
le foglie sparpagliate –
Il mio cuore diventa
lo specchio di chi mi parla
di chi ha perso la vita
per un paio di stivali
o per aiutare qualcuno
File di soldati marciano
verso la vita
e file di soldati a terra
hanno il volto coperto
Seduto ad un gradino
il soldato piangeva
e sopra il petto
una fotografia teneva –
Ora i cipressi accarezzano
il ricordo di ragazzi
che dormono dimenticati
senza il conforto
di una rosa che profumi
di rispetto e di pietà

Quättr di novambr

U tamp sfuoghja
na pägina di rrigard
scritta cû seangu
di ami ng’uerra
cu la mart

Li därmi arvoghju
u dulaur chi scuorr
nta n scium mut
di n cient dispirea

Na truma arciema
u silenziu –
pearda di vita eterna
na dangua dutania
scavära ntô cuor
di na bleanca valäta

U priezz di la diviesa
svuntulia la baniera –
na curauna d’adar
sparpeghja libirtea
e ghj’aràfu vistij a culaur
arrighelu dignitea.

(Bettina Di Bartolo)

Quattro novembre

Il tempo sfoglia
una pagina di ricordi
scritta col sangue
di uomini in guerra
con la morte

Le lacrime risvegliano
il dolore che scorre
nel fiume muto
di un pianto disperato

una tromba richiama
il silenzio –
parla di vita eterna
una lunga litania
scavata nel cuore
di una bianca lapide

Il prezzo della divisa
sventola la bandiera –
una corona d’alloro
spande libertà
e i garofani vestiti a colori
regalano dignità.

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