Gian Maria Collicelli e Benedetta Centin
«In Italia mi risulta non si sia mai verificato un caso del genere». Federico Tapparello parla con cognizione di causa. Lui è il responsabile delle attività di bonifica bellica della ditta «Gap service srl». Ovvero l’azienda che, per conto del Comune, si è aggiudicata l’operazione di bonifica nel lato est dell’ex aeroporto Dal Molin. Quell’area, nei piani dell’amministrazione, dovrà diventare il futuro Parco della Pace, ma per ora si è trasformata in un vero e proprio campo minato. E il ritrovamento della bomba inglese da 1800 chili, nei giorni scorsi, ha elevato la situazione dell’ex «Dal Molin » a caso unico in Italia. Almeno secondo le esperienze della ditta padovana, attiva nel ramo delle bonifiche su tutto il territorio nazionale e anche in campo internazionale. «Che io ricordi – afferma Tapparello – non ci sono altri casi simili nel nostro Paese. Non che ritrovare delle bombe sia un fatto isolato, ma per il numero di ordigni venuti alla luce, per la loro dimensione e la loro posizione sul campo, questa è una situazione mai vista.
Di solito, bombe grandi come quella trovata in questi giorni sono isolate, mentre qui è circondata da altri ordigni». L’azienda ha iniziato la bonifica bellica alla fine dello scorso giugno e secondo le previsioni iniziali di Palazzo Trissino «al netto da importanti ritrovamenti in quattro mesi le operazioni saranno completate». Le sorprese, però, sono arrivate, eccome. «Ci aspettavamo di trovare bombe di produzione americana o inglese – spiega Tapparello – perché quelle erano le notizie sulla natura dei bombardamenti in zona che avevamo in mano». Poi la scoperta: 122 ordigni bellici risalenti alla seconda guerramondiale di svariate dimensioni e (molti) di fabbricazione italiana sono venuti alla luce nella parte est dell’ex scalo civile. «L’ipotesi che va per la maggiore tra gli artificieri – aggiunge il responsabile – è che l’aeroporto fosse stato trasformato in un campo minato come tentativo di autosabotaggio nel caso di presa da parte dei nemici». In mezzo agli ordigni disseminati dagli italiani, però, è spuntata pure la maxi-bomba da 1800 chili di esplosivo e quattromila libbre di peso, con tutta probabilità sganciata dagli aerei inglesi.
E dunque ora la situazione si complica: quella bomba è sorvegliata a tutte le ore attraverso turni organizzati «a scacchiera», per fare in modo che l’area dove insistono i residuati bellici sia off limits, affinché nessuno osi avvicinarsi e non si verifichino incursioni. Tutte le forze dell’ordine operanti sul territorio sono impegnate a «vegliare» costantemente sul futuro parco della Pace. Ciascuna secondo le sue possibilità e soprattutto risorse umane. Se polizia di Stato e carabinieri riescono infatti a garantire una pattuglia al giorno, diversamente è per la guardia di finanza, per il corpo forestale, la polizia locale e provinciale, che entrano in turno a giorni alternati, così come secondo un dettagliato calendario predisposto dalla stessa questura di Vicenza. Un ulteriore impegno che va necessariamente rispettato, e che deve convivere con i normali servizi predisposti sull’intero territorio. La bomba sarà fatta brillare nel parco, saranno utilizzate protezioni particolari come terrapieni oppure muri creati ad-hoc e per il bomba-day sarà necessario evacuare l’area in un raggio di tre chilometri. Il che significa 46 mila persone in cinque Comuni, comprese zone sensibili come la vicina base Usa Del Din e l’ospedale San Bortolo. Con tutta probabilità l’operazione verrà svolta il prossimo anno, ma una data precisa, ancora, non c’è, perché dipenderà dai tempi di completamento della bonifica bellica, eseguita finora solo per metà del futuro parco: «Non posso azzardare alcuna data – precisa Tapparello – perché non so quanti ordigni troveremo ancora».
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