Ognuno recita il proprio ruolo, immerso in quella divina sensazione di devozione allo scopo comune: la realizzazione di un'opera d'arte, che anche la bonifica bellica sa idealizzare.

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Ognuno recita il proprio ruolo, immerso in quella divina sensazione di devozione allo scopo comune: la realizzazione di un'opera d'arte, che anche la bonifica bellica sa idealizzare.

Non possono neanche piangere i bambini soldato

Categories: Editoriali

10/03/2022 Sudan del Sud

“If you ever come across anything suspicious like this item, please do not pick it up, contact your local law enforcement agency for assistance”

di Alessandra Mincone

Pagine Esteri, 9 marzo 2022 (la foto è dal sito face2faceafrica.com) – Ci sono bambini che non hanno il diritto di piangere. A essi viene chiesto di essere uomini, a dieci, dodici, quindici anni, e di utilizzare pistole di legno per esercitarsi a uccidere in guerra. Sono i bambini soldato, battezzati dalla brutalità prodotta con la secessione del Sud Sudan del 2011, e costretti ad arruolarsi ora in difesa delle forze armate governative organizzate dall’attuale Presidente della Repubblica del Sud Sudan Salva Kiir Mayardit, nonché storico vice-colonnello dell’Esercito di Liberazione del Popolo sud sudanese; ora per i ribelli all’opposizione, in un conflitto civile che dalla proclamazione della Repubblica indipendente non ha dato alcuna tregua alla popolazione. “Alcuni di noi sono andati a saccheggiare, altri hanno violentato una donna in gruppo, e c’erano anche quelli che prendevano i bambini, neonati, per le caviglie, schiacciandogli la testa contro gli alberi, o qualsiasi cosa dura. E poi i civili sono stati portati in un edificio a cui i soldati hanno dato fuoco, l’ho visto.” E’ dal 1983 che l’Esercito popolare di liberazione del Sudan recluta vittime minorenni, bambini e bambine, strappandoli ai nuclei familiari e alla scuola, per assicurarsi di plasmare dei soldati capaci di inseguire, minacciare, sparare e fare a pezzi i corpi dei civili e a reclutare a loro volta altri soldati bambini. Poche istruzioni, cariche di crudeltà e di fermezza: se qualcuno prova a scappare, bisogna sparare alle gambe, se qualcuno oppone resistenza, bisogna picchiarlo ferocemente, se all’ordine di cominciare a combattere si resta in silenzio, servirà uccidere. L’SPLA, diventato l’attuale forza politica e militare del Sud Sudan, costringe minori che vanno dai 10 a 17 anni a prendere parte alle operazioni sanguinarie per favorire i propri interessi strategici: attualmente membro  dell’East African Community, l’SPLA prevede di guadagnarsi una poltrona al tavolo dei negoziati sul Nilo, nonostante la mancanza di infrastrutture importanti e la problematicità delle alluvioni non abbia ancora consentito a Salva Kiir di approfittare delle potenzialità di un terreno fertile per il commercio del grano. Ma nel frattempo, la tradizione di sfruttare e torturare i bambini fino a costringerli a combattere per qualcosa, permette al Presidente in carica di finanziarsi grazie al disboscamento aggressivo nelle regioni dell’Est, Ovest e Centro Equatoria, provocando guerre tribali in queste zone, dove ai bambini soldato dell’esercito governativo si sono contrapposte le vite dei bambini soldato reclutati dalle forze armate all’opposizione (SPLA-io). Nel 2014, Leila Zerrougui all’epoca Rappresentate Speciale per il Segretario-Generale per i Bambini ed i Conflitti Armati, era spaventata dal dispiegamento di bambini soldato i quali formavano le prime linee di difesa dell’ex capitale dello Stato dell’Unità, Bentiu. In quell’anno HRW intervistò numerosi bambini reclutati per la guerra, riportando la testimonianza di un ragazzino di 15 anni, utilizzato dall’esercito governativo per proteggere Bentiu dai ribelli, che dichiarava di aver scelto autonomamente di arruolarsi con l’esercito insieme ad altri compagni di scuola. In cambio avrebbe ricevuto un compenso di 600 SSP per un mese, vale a dire meno di quello che in occidente equivale a cinque euro, con cui la sua famiglia avrebbe potuto garantirsi da vivere, a stento, per circa una settimana. Proprio dall’area meridionale del paese, il conflitto civile dal 2013 al 2016 ha significato una crisi umanitaria per 4 milioni di abitanti su 10, di cui due milioni e mezzo costretti a fuggire dal territorio, e un milione e mezzo i rifugiati interni al Sud Sudan. Le condizioni di vita a ridosso dei campi di addestramento militare, come nelle baracche di Bentiu, o negli edifici dismessi ai confini della città, si differenziano dalle baracche gestite dai miliziani dell’esercito ribelle sull’aspetto salariale: assoldati dal governo o da gruppi paramilitari con cui vi è un dialogo, i bambini soldato possono ricevere dei compensi, per uno o due mesi o nell’arco di diversi mesi. Il compito principale da assolvere è bruciare le abitazioni e le capanne dei civili per poi saccheggiarli del loro bestiame. In altre aree del Sud Sudan, possono finire stipati per intere settimane in container sovraffollati, dove il cibo e l’acqua sono razionalizzati e anche chiudere gli occhi diventa una tortura se per dormire bisogna stare rannicchiati come felini in posizione fetale.

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Foto-Fonte: https://pagineesteri.it/2022/03/09/apertura/sud-sudan-non-possono-neanche-piangere-i-bambini-soldato/

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