Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra
Una delle Voci più autorevoli della Memoria italiana. Sopravvissuta ad Auschwitz, ha vissuto la persecuzione e l’indifferenza dopo l’emanazione delle leggi razziali. Senatrice a vita di uno Stato che ottanta anni fa l’ha discriminata dal punto di vista razziale, Liliana Segre oggi parla ai giovani come “se fossero i suoi nipoti” e ai cuori di tutti noi, perché la memoria non si perda, perché la voce non si spenga. Non si illude, ha più volte affermato la Senatrice che tutti i giovani possano diventare “candele della memoria”, ma basta una candela accesa, perché la speranza del bene e della pace sia più forte del fanatismo e dell’odio. E’ questo il suo dono d’amore verso le nuove generazioni. E’ questo il suo dovere. Testimoniare, per quei sei milioni di persone non tornate per la ”sola colpa di essere nate.” Perché non siano morte invano.
Una bambina esclusa da scuola
La “principessa” di papà. Liliana è una bambina serena, nonostante la prematura morte della mamma, quando aveva solo pochi mesi. Papà Alberto la coccola, le fa da padre e da madre. La piccola Liliana, vive a Milano, dove frequenta la scuola. Cresce in una famiglia della piccola borghesia ebrea, non religiosa per sua stessa ammissione. Ad otto anni però qualcosa cambia nella sua vita. L’emanazione delle leggi razziali. E’ il 1938. Liliana viene esclusa da scuola e sperimenta cosa vuol dire la perdita di identità, il disprezzo, il sentirsi diversi e derisi da quelle che prima erano le sue compagne di classe, le sue amiche, per poi porsi una domanda che mai avrà una risposta. Perché? Senza motivo, senza aver fatto nulla di male. Incomprensibile agli occhi di una bambina. E Liliana ricorderà sempre l’indifferenza, il distacco della maestra nel dirle “non è colpa mia se esistono le leggi razziali”, quasi a giustificarsi, in una sorta del più bieco disimpegno morale. Intanto per la popolazione ebrea, è tempo di fuggire da quella follia collettiva. Chi negli Stati Uniti, chi in Svizzera. La famiglia di Liliana, forse tardivamente, scappa dalle bombe che cadono sulla città di Milano e ripara in Brianza, per poi tentare di passare il confine svizzero con documenti falsi, invano. Il rimpatrio cambierà drammaticamente il corso della vita di Liliana, di suo padre e della sua famiglia. Prima arrestati, poi deportati. I nonni verranno subito gasati. Denunciati in cambio di 5 mila lire.
30 gennaio 1944. Comincia il viaggio
Binario 21. E’ questo il binario della morte. Da queste rotaie partiranno 23 convogli piombati verso i lager nazisti, in un lungo viaggio senza ritorno. Da questo triste luogo migliaia di innocenti perderanno la speranza. Da qui partirà anche la piccola Liliana insieme a papà Alberto, direzione il campo di sterminio di Auschwitz Birkenau. E’ il 30 gennaio 1944 e la “soluzione finale” è in piena attuazione. Il convoglio è stipato fino all’inverosimile, 605 cittadini italiani di famiglia ebrea. Ammassati come carne da macello, senza cibo, acqua e luce, solo un secchio per i bisogni di tutti. Il viaggio fatale dura una settimana. E saranno anche gli ultimi sette giorni che Liliana trascorrerà con suo padre. Separati subito al loro arrivo al campo, l’amato papà Alberto morirà il 27 aprile. Quello che è stato il Binario della vergogna, è oggi il Memoriale della Shoah, un luogo di riflessione sulle persecuzioni e sull’indifferenza che permise l’Olocausto.
Auschwitz: le mille facce del Male
Al suo arrivo ad Auschwitz, la spietata selezione. Viene assegnata alla Sezione femminile. Altre verranno inviate direttamente alle camere a gas. Sessantamila donne nel campo, di tutte le nazionalità. Una babele di lingue. Poi l’umiliante svestizione, davanti ai propri aguzzini. Rasata, tatuata con lo stigma di essere ebrea, senza il diritto ad avere un nome. E’ la perdita totale dignità. E’ la deumanizzazione. Assegnata ad essere operaia-schiava presso la fabbrica di munizioni Union, fu la sua salvezza, perché lavorava al coperto e non sotto la neve della gelida Polonia. Passò la selezione per l’idoneità al lavoro per tre volte. Il suo corpo scheletrito, indebolito dalla fame, dal freddo e dalla paura, passò la selezione per la vita o la morte tre volte. La notte nel lager era fatta di urla di disperazione, per la consapevolezza di andare al gas: donne, uomini, madri che cercano i propri figli, in tutte le lingue del campo. Un “universo del Male”, fatto di privazioni, di torture, di terrore, dell’odore dei corpi bruciati. La perdita dell’umanità.
Io non sono come lui. Scelgo la vita
Per il genocidio in atto, Liliana fu costretta alla prigionia per quasi due anni, sfinita nel suo provato corpo, ma con animo colmo di odio e di vendetta. A gennaio del 1945, con l’arrivo dei Russi, cominciano quelle che furono per tanti le marce della morte. Settecento chilometri dalla Polonia alla Germania, “una gamba davanti all’altra”. Mai cadere. Significava la sopravvivenza. Ma la guerra aveva preso un’altra svolta. I Nazisti perdevano su più fronti. E’ aprile. “I soldati tedeschi abbandonavano le divise davanti a noi. Un generale si toglie la divisa davanti a me, getta la sua pistola. Sta scappando. In quel momento ho avuto la forte tentazione di prendere quella pistola e ucciderlo. Stavo per chinarmi, ma per fortuna non lo feci. Capii la differenza tra me e il mio nemico. Io non ero come lui.” Liliana non cede alla vendetta. Sceglie la vita. Da quel momento, con la scelta di non essere un assassino come il suo aguzzino, Liliana diventa “Donna libera e di pace”.
La Sezione ANVCG di Pesaro, in occasione delle Celebrazioni del 75/o Anniversario della Liberazione della città, ha avuto l’onore confrontarsi con la Senatrice a vita Liliana Segre e di rivolgerle alcune domande.
Alla riflessione sul senso della parola Liberazione la Senatrice ha risposto:
La parola Liberazione, retorica, usata, che i ragazzi oggi hanno imparato, sentito, non sanno in realtà il vero significato, perché hanno avuto la grande fortuna di vivere da settantacinque anni in pace e la parola libertà è data per acquisita. Siamo liberi, possiamo dire quello che vogliamo, anche di più, quelle parole dell’odio dalle quali poi si passa ai fatti, perché le parole dell’odio preparano ad un futuro orribile. Provare nella pelle, nel cuore, nell’intimo, nell’anima, nei capelli che non hai più, cosa vuol dire essere prigioniero… Non sei più una persona, sei un pezzo, uno stuck e dopo anni questa porta, che credevi chiusa per sempre, si apre ed esci e non sai cosa vuol dire mangiare, bere, cogliere un fiore, non sai più cosa vuol dire, sono libero. Pensi, io sono vivo, sono libero! Improvvisamente ti accorgi quanto odio ti ha tenuto prigioniero, quanta indifferenza del mondo intorno a te. I grandi fisici hanno parlato di una razza sola, che è quella umana, ma lì si sono perdute le parole, prima la parola razza, che ha permesso delle cose spaventose e poi la parola umana, perché nel tuo vicino hai visto l’odiatore, che dalle parole che gli hanno insegnato è passato ai fatti, che ha tenuto prigionieri, che ha torturato, che ha infierito, che ha ucciso degli innocenti. Questa è la liberazione che auspico, la liberazione dall’odio.
Senatrice, lei oggi è Testimone di pace. Cosa fare perché la memoria non si perda, perché la voce non si spenga?
Vorrei poter dire che tutto si tramanderà, ma purtroppo sono molto pessimista. Vorrei non esserlo. Io so che la mia voce è come una goccia nel mare. E quindi ho poca speranza. Ma non solo perché è la Memoria che è sempre destinata a finire con le persone e con quelli che ricordano quelle persone, poi quando non ci sono più anche quelli che ricordano…basta. Io dico che la Shoah, le Vittime Civili, le Vittime Militari, diventeranno prima una riga in un libro di storia, poi più neanche quella.
E’ possibile perdonare tanto Male, o cercare un perdono per sopravvivere a tanto buio, anche se il vuoto rimane incolmabile?
Io combatto l’odio e le parole dell’odio. Perché so che dalle parole si passa ai fatti e l’ho visto. Per quel che riguarda me, io non dimentico. Appena entrata in Senato, ho presentato un disegno di legge proprio contro le parole dell’odio, perché le parole dell’odio le sentiamo tutti i giorni. E’ il tempo dell’odio. Quando parlo ai giovani, mi rivolgo ai ragazzi come miei nipoti ideali, dico sempre di non usare le parole dell’odio, di non essere indifferenti, perché questo è stato di una gravità enorme nella nostra vita democratica.
Lei era stata espulsa da scuola, vittima delle razziali. Oggi si parla tanto di bullismo. Come affrontarlo e come far capire ai giovani che è importante non escludere nessuno?
Il bullismo dimostra una grande debolezza da parte dei bulli. E questo secondo me è stato poco capito. Più che le vittime dei bulli, che vanno certamente consolate e aiutate, vanno curati i bulli. Perché i bulli fanno quello che fanno? Vuol dire che dentro di sé hanno una profonda disistima e una profonda debolezza, che un giovane uomo non dovrebbe avere.