Romina Gobbo
Un’esplosione potentissima, impressionante dal punto di vista visivo, con un fronte d’onda di 360°, diretta e retrograda, e con una quota di espansione nel sottosuolo a provocare un movimento sismico fino a una profondità di una decina di metri; a cui va aggiunto l’effetto scheggia. Il peggiore degli scenari possibile. Ecco perché oggi, 25 aprile, battezzato “Bomba day” (il terzo per la città di Vicenza, dopo quelli del 2001 e del 2011), 27mila cittadini (tra cui gli 800 soldati americani della caserma Del Din), che risiedono in 4.642 edifici, in un raggio di 2,5 chilometri (un’area che insiste sul comune di Vicenza, ma anche sui vicini Caldogno e Costabissara), sono stati evacuati.
Ha 70 anni e sta dando del filo da torcere ad un buon numero di giovani militari del secondo Reggimento del Genio Guastatori Alpino di Trento, che le si avvicinano con “rispetto e riverenza”. Lei è la “Old Lady”: 4.000 libbre di peso, 2 metri e 10 di lunghezza, quasi 1.500 chilogrammi di esplosivo Minol 2 (corrispondente a 1.800 Kg di tritolo), 3 spolette tutte armate. Una bomba di fabbricazione inglese, ritrovata a Vicenza il 7 novembre 1913, a tre metri di profondità sotto il prato dell’ex aeroporto Dal Molin, nell’ambito della bonifica propedeutica alla realizzazione del Parco della Pace, progetto promesso alla cittadinanza al tempo della grande protesta contro la realizzazione del Dal Molin 2.
Le operazioni di disinnesco inizieranno alle 9 e si protrarranno – secondo le previsioni – non più di 8, 9 ore. Il primo approccio sarà da parte di un team composto da un operatore e un caponucleo, coordinati dal capitano Salvatore Toscano, responsabile di tutta l’operazione “Old Lady” (per la quale il Governo ha stanziato un milione e 400mila euro). Le spolette verranno disinnescate e separate dal corpo della bomba, la quale sarà svuotata del contenuto, con tecnica meccanica o idrochimica. Quindi, l’esplosivo sarà trasportato, via terra, ad Orgiano (paese in provincia di Vicenza) dove, all’interno di una cava, sarà fatto brillare.
Già dallo scorso novembre, i militari del Genio (che fanno capo al Comando forze di difesa interregionale nord di Padova) stanno alacremente lavorando su quello che il capitano Toscano definisce un vero campo minato. Infatti, attorno all’”ape regina”, si trovano una serie di altri ordigni – 133, di peso variabile fra 500 e 100 libbre, sono già disinnescati e messi in sicurezza – che rappresentano il pericolo maggiore in caso di deflagrazione. Un’eventuale esplosione potrebbe via via innescarne altre, originando una reazione a catena dagli effetti devastanti. Ecco perché l’operazione sul suolo vicentino si è già guadagnata la fama di «più complesso intervento di disinnesco mai realizzato in contesto civile», un caso scuola, la cui relazione finale sarà consegnata alla storia attraverso la conservazione negli annali dell’Alleanza Atlantica.
Per ridurre i rischi al minimo, operatori del movimento terra e artificieri, servendosi di cinque mezzi escavatori, hanno circondato la bomba con un barricamento alto sette metri con base di otto. «Abbiamo realizzato una struttura auto portante a gradini; è un’expertise che ci deriva dalle missioni in Afghanistan – spiega il capitano Toscano che, a 33 anni, ha già all’attivo parecchie missioni nel Paese asiatico -. La struttura è fatta di 460 gabbioni metallici (hesco bastion) riempiti con sacchi di sabbia (circa 5mila metri cubi), capaci di contenere l’eventuale esplosione, e non far schizzare schegge, responsabili dei cosiddetti “rischi collaterali”».
La messa in sicurezza dell’area è stata improntata anche alla prevenzione del rischio mitomani, perché l’esplosivo potrebbe far gola a molti. E soprattutto alla protezione da eventuali atti ostili. «La contiguità dell’area con la caserma “Del Din” ha alzato il livello di allarme. La base americana è sicuramente appetibile per cellule filoqaediste», afferma Toscano.
Capitano, ha alle spalle tre anni e mezzo di Afghanistan, l’operazione vicentina al confronto è una passeggiata?
«Una passeggiata, magari no, ma sicuramente ci sono delle differenze importanti. Qui il problema è “solo” il disinnesco, in Afghanistan la stessa operazione richiede che ci si guardi anche le spalle. Perché i talebani spesso usano le bombe come specchietti per le allodole e, mentre tu sei concentrato sull’ordigno, cominciano a sparare. Là, gran parte delle attività si svolgono sotto fuoco nemico. Quindi, anche il livello di stress è maggiore. E l’altro vantaggio “di casa nostra” è che delle bombe come questa, sganciate durante le nostre guerre mondiali, conosciamo praticamente tutto. Perché sono ordigni convenzionali, registrati, costruiti con una logica industriale. Invece, dei cosiddetti IED (improvised explosive devices) afghani, facciamo esperienza quando li troviamo, perché sono costruiti artigianalmente, usando materiali i più svariati. E, quindi, ogni volta, ci dobbiamo confrontare con qualcosa di diverso».
La Old Lady fu lanciata la notte del 19 novembre 1944 da un aereo inglese. Durante l’attacco, che durò dalle 20.55 alle 21.05, e che aveva come obiettivo proprio l’aeroporto Dal Molin, all’epoca strategico per l’esercito nazista in ritirata, secondo l’appassionato di storia vicentina, Giuseppe Versolato, furono
lanciate su Vicenza ben 22 bombe da 4.000 libbre: 18 caddero nell’area della stazione ferroviaria, e 4 nell’area del Dal Molin. Quella che sarà disinnescata il 25, è la prima ritrovata, le altre potrebbero essere esplose, ma potrebbero anch’esse essere “dormienti” sotto terra.
«Quel bombardamento – afferma Versolato, che, dopo aver consultato gli archivi di Stato di Londra e Washington, sul tema ha scritto il libro 5Bombardamenti aerei degli alleati nel Vicentino 1942-1945, Rossato Edizioni – fu tra i più terrificanti: gli aerei inglesi sganciarono in tutto 95 tonnellate di bombe. I bimotori “Wellington” erano specializzati nel trasporto delle bombe grosse, quelle appunto da 4.000 libbre, che sganciavano una volta raggiunta quota 2, 3 chilometri da terra. Le chiamavano “blockbuster”, ovvero “spiana isolati”, perché ognuna di essere doveva distruggere un intero quartiere, ma, nello slang dei soldati, erano dette “cookies” biscottini. Però presentavano un difetto: spesso non esplodevano».
Capitano Toscano, per concludere, percentuale di rischio?
«A questo punto, direi quasi nulla. L’approccio è stato professionale, per noi l’operazione è chiara. Resta l’imponderabile…».
Fonte: http://www.famigliacristiana.it/articolo/vicenza-affronta-il-bomba-day.aspx
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Il capitano Salvatore Toscano (foto R. Gobbo Famiglia Cristiana.it) |
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Foto: Romina Gobbo per Famiglia Cristiana.it
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