L’importanza del porto di Palermo durante la seconda guerra mondiale fu tragicamente chiara a tutti i suoi abitanti. Frequenti attacchi britannici avevano mirato a interrompere il flusso di rifornimenti alle forze dell’Asse in Africa, mentre i tedeschi organizzavano una rete di sorveglianza antiaerea coordinata dalla postazione sul Monte Pellegrino. Di solito i bombardieri provenivano da Malta, passavano sopra Isola delle Femmine; si dirigevano poi su Sferracavallo e Mondello, seguivano la rotta di attacco in direzione dell’Arenella e colpivano il porto. Però la vicinanza della montagna e le correnti d’aria avevano sempre impedito che i Cantieri navali fossero seriamente danneggiati. E poiché non c’erano altri punti d’interesse strategico, con qualche disagio la città aveva continuato la sua vita. Ma nel 1943 ogni residua minima sicurezza s’era dissolta. Quell’anno la guerra stringeva la sua morsa. Gli Alleati erano sbarcati in Africa, avevano deciso di terrorizzare le popolazioni nemiche per indurle a pressare sul governo e chiedere la resa: l’aviazione americana applica quindi la tecnica del “bombardamento a tappeto”, e in virtù della sua importanza strategica la Sicilia diventa la prima regione a sperimentarne gli effetti devastanti. A Palermo si intensificano i bombardamenti sul porto a cui si aggiungono le strade e la ferrovia, il macello comunale, i mulini. Si prepara lo sbarco Alleato e i Boeing B-17 Flying Fortress, le “Fortezze volanti”, hanno cominciato la loro opera di demolizione. In Bombe su Palermo – un libro molto dettagliato di Alessandro Bellomo e Clara Picciotto – è ricostruito il crescendo degli avvenimenti: il 3 febbraio una formazione di trenta bombardieri colpisce il porto, ma anche piazza Magione e corso dei Mille sino ad arrivare a Villabate. Il bilancio è di 98 morti e 297 feriti. Il 1° marzo, in pieno giorno, due formazioni per complessivi trentasei bombardieri di nuovo attaccano il porto e l’entroterra urbano. Novantaquattro tonnellate di bombe vengono scaricate sulla città, fra gli edifici danneggiati ci sono il portico meridionale della Cattedrale, l’Albergo delle Povere di corso Calatafimi, il complesso monumentale di via Cappuccini. Il 22 marzo è la volta di ventiquattro bombardieri, ognuno sgancia dodici bombe sempre a cominciare dal porto. Stavolta l’acqua sollevata da un’esplosione allaga un rifugio antiaereo sul molo, dove s’erano rifugiati gli operai della Compagnia portuale: 24 morti. La chiesa del SS. Salvatore, la Biblioteca nazionale, l’ospedale di San Saverio all’Albergheria vengono seriamente danneggiati la notte fra il 4 e il 5 aprile. Il rifugio di via Monte Pellegrino è centrato il 15 aprile, i morti sono 92. L’indomani, ventidue Fortezze volanti
provenienti dall’Algeria bombardano i quartieri attorno al porto anche con ordigni al fosforo, che causano l’incendio e il crollo del primo piano dell’Archivio di Stato. Il 17 aprile altra incursione: 48 bombardieri lanciano 1.200 bombe per un totale di 130 tonnellate di esplosivi che devastano corso Vittorio Emanuele e via Cavour, la contraerea italo-tedesca abbatte quattro Fortezze volanti. Il 18 aprile altra incursione: bombe dirompenti e spezzoni incendiari colpiscono soprattutto gli scali ferroviari di Brancaccio e piazza Ucciardone, il deposito dei tram. Le comunicazioni risultano paralizzate. Dopo i bombardamenti del 18 aprile ci sono giorni di tregua. A Palermo viene assegnata una simbolica “medaglia di mutilata”, la cerimonia è fissata per il 9 maggio a piazza. Bologni. Ma sin dal mattino Radio Londra – la radio degli Alleati – invita la popolazione a disertare la cerimonia preannunciando una grande incursione aerea. Centinaia di bombardieri preparano l’apocalisse, che presto arriva. L’attacco Anglo-americano evita Capo Zafferano dov’è concentrata la difesa antiaerea, si presenta da Termini Imerese: alle 11 una formazione di caccia bimotori bombarda l’aeroporto di Boccadifalco, mettendo fuori combattimento i settanta aerei parcheggiati sulla pista. Alle
12,35 arrivano le Fortezze volanti: il primo gruppo è composto da 222 bombardieri, provengono dall’Algeria e sono armati con bombe da 500 libbre (227 chili); li scortano 118 caccia pesanti. Seguono altri 90 bombardieri che portano ordigni da 300 libbre (136 chili), sono scortati da 60 caccia bimotore. La contraerea reagisce, spara senza interruzione. Ma i bombardieri volano troppo in alto, vengono intercettati solo sulla via del ritorno: dopo che con 1.114 bombe da 500 libbre e altre 456 da 300 libbre hanno distrutto la città. Palermo sperimenta il primo bombardamento a tappeto avvenuto in Italia. Nessuno dei suoi quartieri viene risparmiato, il tessuto monumentale è ridotto in macerie che riprendevano a bruciare anche dopo spente: effetto di ordigni incendiari come le bombe al fosforo. Nell’elenco stilato dai Vigili del fuoco e dalla Soprintendenza ai Beni culturali i nomi degli edifici distrutti disegnano il profilo di una città martoriata. E la notte dello stesso 9 maggio la città torna a essere colpita da 23 bimotori Wellington: gettano 76 ordigni esplosivi fra cui due bombe Hc (High capacity) da 4.000 libbre (1.814 chili), che non penetrano al suolo ma risultano micidiali per distruggere le zone edificate. Il bilancio ufficiale delle vittime del 9 maggio accerta “solo” 373 nomi: un numero relativamente basso, perché gran parte della popolazione è “sfollata” fra paesi e campagne. Palermo è ridotta una città in macerie, senza vie di comunicazione. È allo sbando. Diventerà facile preda per sciacalli d’ogni genere, che a lungo avrebbero continuato a martoriarla. Ma questa è un’altra storia. Settant’anni dopo la memoria di quel giorno ritorna con la consegna alla città di un ritrovato rifugio anti aereo sito sotto la scuola Madre Teresa di Calcutta di via Maqueda.
Fonte:
http://palermo.repubblica.it/cronaca/2013/05/09/news/le_bombe_del_9_maggio_1943_che_distrussero_palermo-58431764/
09Mag
Le bombe del 9 maggio 1943 che distrussero Palermo
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