Nel Darfur da tempo senza più regole, la morte attende per strada, celata da pochi centimetri di terreno o nascosta tra cespugli o piante. Il primo vero conflitto il paese lo patisce per 17 anni (1955/1972). sud contro nord, religioni contro altre religioni, poteri contro altri poteri. Passano pochi anni, nel 1953 è ancora guerra. Nel 1983 un colpo di Stato crea le condizioni per altre guerriglie che nel 2003 si trasformano nella seconda guerra civile che termina nel 2006. Di più, stendendo un pietoso, velo che copra i nomi dei fornitori d’armi, anche pesanti, alle milizie contrapposte, potremmo tuttavia chiederci cosa l’Italia, L’Europa, gli Stati Uniti avrebbero “fattivamente” fatto per lo sminamento a Darfur in questi anni rosso sangue. La guerra uccide, militari, donne, bambini. La guerra rende lo stupro umiliazione consentita. La guerra che nasce con finalità politiche cresce e termina con lo scopo di “sodomizzare”, ciò che resta dello spirito, della coscienza del popolo sconfitto. A guerra conclusa qualcuno si accorge durante i conflitti potrebbero esserci stati casi di genocidio. Poi come canta mina: “parole, parole, solo parole. Oggi a Darfur l’ex guerra continua a pretendere le sue vittime. Non passano settimane senza ricevere notizie di bambini uccisi da piccole bombe, raccolte per gioco. Il sedici maggio, racconta Radio Dabanga, in località Mukjar, muoiono altri quattro fratellini: Adam Suleiman Ismail (12) anni, Abakar (10), Fatima (7), e Halima (5). il giorno successivo la morte da residuato bellico inesploso e venduto da ignoti chissà come a chissà chi, uccide due giovani donne, ma se fossero state anziane la morte non sarebbe stata meno ingiusta. Forse sarebbe ora, viste le grandi guerre d’Africa di non tentare più alcuna giustificazione ai conflitti in corso, di non cercare genocidi e crimini di guerra post-datati, ma di considerare la guerra stessa in ogni suo corso, l’unico, vero, indiscutibile crimine contro l’umanità del presente e del futuro.
Giovanni Lafirenze
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