di Sabrina Pinardi
Li tiene ancora in un cassetto, i pezzi di corteccia del pioppo dell’Aldriga: «C’è dentro il sangue dei nostri soldati», dice mostrando le schegge. Lina Stuani, 86 anni che non dimostra per nulla, all’epoca dell’eccidio era una ragazzina di dodici anni: lei e l’amica Lina Savazzi sono rimaste le uniche testimoni di una delle pagine più tristi di questi luoghi, che ora rischia di perdere uno dei suoi simboli, il pioppo che gli anni hanno incurvato e ammalorato e che il Comune di Curtatone sta cercando di salvare grazie a un bando di sponsorizzazione. Era il 19 settembre del 1943: tra i soldati italiani tenuti prigionieri in una caserma di Mantova i tedeschi chiesero dieci volontari: «Vanno scavate buche per nascondere dei documenti». I dieci che si fecero avanti avevano dai 19 ai 35 anni. Furono caricati su una camionetta e portati fuori città, nella Valletta dell’Aldriga, sulla riva destra del fiume Mincio. Lì, a un paio di chilometri dal Santuario delle Grazie, sui campi teatro della battaglia risorgimentale di Montanara e Curtatone, scoprirono che non dovevano scavare buche, ma fosse. Le loro. I tedeschi scelsero un pioppo abbastanza grande per legarvi un uomo. E, uno a uno, giustiziarono i soldati italiani. Con una scarica di mitra. Lina, quella domenica mattina, si era alzata presto per andare alla messa delle sei e mezzo al Santuario. All’improvviso sentì gli spari. «Mio padre mi disse di non preoccuparmi, che erano i cacciatori — racconta — . Con la mia famiglia abitavo già ai Quattroventi, dove oggi c’è il nostro ristorante, con quel nome. La mia famiglia allora aveva una rivendita di alimenti e tabacchi». Curiose, lei e l’amica, che abitava in una corte vicina al luogo dell’eccidio, si avvicinarono alla Valletta: «C’erano una camionetta parcheggiata sul sentiero e un sacco di soldati tedeschi. Poi capii cosa stava succedendo. Vidi l’ultima esecuzione. Ricordo come fosse ieri il rivolo di sangue che dal dosso dove c’è il pioppo scendeva giù, fino al prato in cui erano state scavate le fosse». I soldati si accorsero delle due bambine: «Ci videro perché eravamo molto vicine. Io li salutai con la mano e poi ce ne andammo. Prima, però, raccolsi frammenti di fotografie che i tedeschi avevano buttato per terra, vicino alla camionetta. Erano i ricordi che quei prigionieri portavano con sé». Tra le immagini color seppia anche un biglietto con cui Mario Corradini, il più giovane del gruppo, chiedeva di avvisare la sua famiglia: «Fate un favore di inviare ai miei cari uno scritto per dare loro informazioni che sono prigioniero». Le due ragazze presero il tram per il santuario, ma prima si fermarono in tabaccheria, incollarono il biglietto a una cartolina postale e lo spedirono ai familiari di Corradini. Dopo che i tedeschi se n’erano andati, Lina tornò sotto l’albero: «Ci andai per strappare qualche pezzo di corteccia, che conservo da 73 anni». Non è l’unica. A Cesare Spezia, studioso di storia locale, alcuni pezzi di corteccia li ha lasciati il padre: «Sono avvolti in una pagina del Corriere della Sera del 22 settembre 1943. Allora avevo dieci anni, ma ricordo il trambusto di quella giornata e negli anni me ne sono occupato nei miei studi». Per tanto tempo si era pensato che la strage fosse servita a «coprire» una lite fra soldati tedeschi e altoatesini, incolpandone gli italiani. Ma Spezia, forte della testimonianza di un ex soldato mantovano morto pochi anni fa, è convinto che i tedeschi non mentissero, quando sull’avviso pubblicato all’indomani dell’esecuzione parlarono di rappresaglia perché dei militari italiani avevano sparato su un convoglio nazista, causando due feriti. Il dubbio forse rimarrà, come rimane un mistero la sparizione di una croce di legno che i primi arrivati sul luogo della strage trovarono piantata nel terreno. Portava incisi la data e il numero dieci, come le vittime. «Credo sia stata sepolta attorno al cippo quando le salme sono state esumate, il 5 maggio 1945 — prosegue Spezia — ma non è mai stata trovata. Peccato, perché sarebbe un reperto importante». Più importante ancora, però, resta la memoria, e quell’albero incurvato dal tempo ne è il simbolo: «È giusto puntellarlo e provare a salvarlo. Ma non dovrà essere tagliato, nemmeno quando sarà morto — dice Spezia —. Deve rimanere lì per sempre». Con quel sangue nel legno. Fonte: http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/16_febbraio_11/bimba-che-ha-visto-uccidere-soldati-legati-poi-fucilati-daae601c-d038-11e5-b46f-b6e34893b4a5.shtml
Foto: milano.corriere.it