di Mariano Alberto Vignali
Pochi lo immaginano, ma la più grande “Santabarbara” d’Italia, il più grande deposito di esplosivo, non si trova in una caserma o in qualche bunker segreto della Nato, è invece sul fondo del mare, lungo tutte le coste italiane o nei laghi, spesso neppure a grande profondità, in luoghi facilmente accessibili come spiagge o porti. Munizioni di ogni tipo, in pessime condizioni o perfettamente conservate, mine, bombe e ordigni di ogni fattura, generalmente degli ultimi due conflitti mondiali. Residuati dispersi, inesplosi o gettati appositamente. Per tutte queste bombe la guerra non è mai finita e oggi, così come un tempo, sono in grado di distruggere ed uccidere.
Il pericolo custodito dal mare
Alcune sono in posti complicati da raggiungere, altre invece in luoghi sin troppo accessibili, sia per caso o volutamente per chi sa dove andare a cercare, magari nella pancia di qualche relitto o tra gli scogli sommersi del litorale. Spesso si tratta di depositi, aree in cui sono state ricavate vere e proprie discariche di bombe ed ordigni di ogni tipo nel dopoguerra; questo perché allora si pensava fosse un posto sicuro, inaccessibile (non c’era la subacquea dilettantistica e poi “il mare restituisce sempre”). Ma il tritolo, in gran parte di questo si tratta, in mare si trova bene, si conserva perfettamente, ed oggi esistono vere e proprie riserve che potrebbero finire anche nelle mani sbagliate. Contro questa minaccia è schierato un reparto altamente specializzato, ed invidiato da molte nazioni (anche gli americano vengono a fare corsi alla Spezia per “rubare” tecniche tradizionali che solo gli Italiani sanno ancora realizzare), della Marina militare: i palombari. Più precisamente sono gli uomini (e da un anno anche una donna) del Gruppo operativo subacquei che tra i propri compiti ha quello di essere il “servizio artificieri” in grado di intervenire in acqua, a qualunque profondità, in mare o nei laghi. Un lavoro immane che, a fronte di uno sforzo costante negli ultimi anni, non basterà per arrivare ad una soluzione in tempi brevi. Ogni anno gli artificieri palombari del ComSubIn (il Comando subacquei ed incursori, le due anime del reparto più selettivo della Marina) bonificano almeno sessanta mila ordigni lungo tutte le coste italiane. Cifre molto alte, annualmente si parla mediamente di oltre trecento bombe da mortaio, una trentina di mine, decine di migliaia di proiettili di ogni calibro e qualche siluro. Un lavoro lungo e costante che viene coordinato dalla base del Varignano (nel golfo spezzino), sede operativa del reparto, attraverso “missioni” dedicate o con l’intervento di distaccamenti dislocati in sedi fisse nei principali porti militari italiani. I palombari del ComSubin, che oltre a questo hanno anche una serie di altre attività primarie, dedicano alla bonifica molte delle loro risorse, anche perché si tratta di un’opera molto rischiosa, dove serve un’alta specializzazione. Ma servirebbe molto di più, magari un piano nazionale di bonifica con un programma a lunga scadenza.
Ogni anno, con un incremento costante, l’attività di questo reparto vede questi specialisti intervenire sia lungo le coste che nelle acque interne per eliminare un numero impressionante di residuati bellici che risalgono anche oltre 100 anni fa e questo ovviamente senza avere perso nulla della loro capacità distruttiva. Un problema anche di sicurezza perché c’è il rischio che queste bombe, oltre che finire in mano a degli sprovveduti o esplodere accidentalmente magari tra dei turisti o davanti qualche lavoratore, possano essere recuperate da dei criminali. È già accaduto, quando le mafie mandarono sommozzatori a recuperare l’esplosivo dal relitto della motonave Laura C, davanti la costa delle Saline Ioniche a Reggio Calabria. Potrebbe capitare ancora e magari a servirsene, al posto dei malavitosi, ci saranno degli estremisti che non avrebbero neppure la necessità di far arrivare il tritolo in Italia. In quel caso i palombari andarono sulla nave e risolsero, con un lavoro enorme, il problema. Dopo mesi di lavoro sono infatti riusciti a chiudere per sempre, con saldature e colate di cemento, tutti gli accessi alla motonave per impedire che qualcun’altro recuperasse il tritolo. Ma questo è solo un caso, lo stesso è avvenuto sul relitto dell’Equa davanti alle Cinque Terre lo scorso inverno oppure nei fondali del lago d’Iseo. Ogni anno dalle varie prefetture arriva una segnalazione per un nuovo rinvenimento e quindi necessita un intervento da organizzare. A volte sono “pezzi” isolati, anche di grandi dimensioni, o vere e proprie montagne di munizioni. È comunque impossibile controllare tutta la costa e tutti i relitti, anzi spesso si trovano nuove aree segnate dalla presenza di residuati, parliamo di milioni di ordigni di ogni tipo e fattura. Un’insidia per tutti, dai bagnanti ai pescatori, dai sub amatoriali a chi sul mare ci lavora. Spesso è un lavoro “dietro le quinte”, quasi una routine evidenziata da qualche esplosione controllata che ne svela la presenza. In estate o in inverno, fermati solo dalle condizioni avverse, i nuclei dei palombari della Marina stanno sminando l’Italia da milioni di ordigni, in corsa contro il tempo, per evitare che qualcuno li trovi prima di loro e si faccia male o li utilizzi.
La giornata di un palombaro
La giornata tipo di un nucleo, inviato a bonificare una zona di mare o in un lago dove vi sono ordigni, inizia con una preparazione meticolosa delle attrezzature e delle attività. Non sono permessi errori quando si lavora con bombe e residuati. Il team arriva sul posto indicato, alcuni operatori scendono sott’acqua per recuperare le bombe o quello che c’è, in qualunque condizione si trovino, che se possibile viene portato a bordo dei mezzi, oppure reso galleggiante con dei palloni e trainato nell’area destinata al brillamento. Tutti i residuati vengono fatti esplodere in mare aperto (o in luoghi adatti in collaborazione con i colleghi dell’Esercito), con l’impiego di moderne cariche di plastico, questo non prima di aver fatto detonare delle micro cariche per allontanare la fauna marina che subirebbe altrimenti dei danni o sarebbe uccisa. Questo costante impegno, l’Italia è la nazione europea con il maggior numero di coste ed acque interne coinvolte nei due conflitti mondiali, rende i palombari del Varignano i più specializzati in assoluto, tanto che apprendere dalla loro esperienza è una conquista ambita per chi deve o dovrà occuparsi di situazioni simili. Questi uomini hanno bonificato il mare dell’Albania e della Libia. Per questo sono oggetto d’interesse dei reparti subacquei di altri paesi che vanno ogni anno alla Spezia per verificare come l’Italia conduce le operazioni subacquee per la bonifica degli ordigni esplosivi rinvenuti in contesti marittimi. Con una storia di 169 anni alle spalle, i palombari rappresentano l’eccellenza nazionale nell’ambito delle attività subacquee essendo in grado di condurre immersioni di ogni tipo, estreme e ad altissimo rischio. Quando parli con loro l’ultima cosa che ti ripetono tutti, alla fine di un intervento, è di ricordarsi, nel caso ci si imbatta in oggetti che per forme e dimensione possano richiamare un ordigno esplosivo o parti di esso, di non toccare nulla, possono essere ancora attivi, e avvisare le autorità.
I luoghi degli interventi
I palombari sono tutti artificieri, ma sono specializzati ad intervenire ad ogni profondità per sminare o bonificare. L’Italia presenta, sia lungo le coste dei mari, che in alcuni laghi, dei “depositi” di residuati bellici ancora pericolosi risalenti agli ultimi due conflitti mondiali. Si tratta di situazioni che si sono create per motivi diversi, o per incidenti (navi affondate, esplosioni polveriere….) o per stoccaggio (si pensava di disfarsi dei residuati buttandoli in mare). Oggi tutti questi “depositi” sono pericolosi, alcuni accessibili ai subacquei moderni civili, altri in zone di pesca, altri in luoghi dove si svolge turismo o attività mercantile, ma si tratta di quantitativi immensi. A questo si aggiungono ritrovamenti spot, constanti in tutta la costa, di ogni tipo di ordigno, di ogni dimensione, da proiettili di artiglieria a grossi manufatti come bombe di aereo o mine. Da anni vi sono luoghi dove, ogni stagione, si prosegue con un’opera costante di bonifica per continui interventi di urgenza richiesti dalla Prefetture, i principali sono:
Baia di Molfetta
Non solo mare, ma anche laghi, ad esempio nel 2019 I palombari si sono occupati della rimozione subacquea dei numerosi ordigni che giacevano sul fondale del lago d’Iseo. Operando a una profondità di circa 50 metri e in scarse condizioni di visibilità hanno rimosso 210 ordigni esplosivi di diversa natura che erano stati gettati nel lago al termine del secondo conflitto mondiale. Una decina gli interventi negli ultimi anni sul lago di Varna per continuare a ricercare, identificare e rimuovere gli ordigni esplosivi presenti sul fondo gettati in quelle acque nel 1918 dall’esercito austro-ungarico in ritirata. Sono circa 12 mila, tra cui miglia di bombe da fucile, i manufatti esplosivi che sono stati eliminati dal 2017, anno di inizio delle prime operazioni nella zona.
Rimossi in un anno 72 mila ordigni
I palombari della Marina Militare fanno parte del ComSubIn, il comando subacquei ed incursori della Marina militare con base nel golfo della Spezia (un reparto diviso al cinquanta per cento tra palombari, la componente specialistica, ed incursori, cioè le forze speciali della Marina). Hanno capacità di operare sotto la superficie del mare sino a 1.500 metri con i veicoli subacquei e fino a 300 metri con l’uomo dentro uno scafandro. Si occupano di qualsiasi genere di operazione subacquea dalla ricerca, al recupero ed intervento tecnico fino ai massimi fondali. Nell’ambito dei propri compiti vi sono il soccorso agli equipaggi dei sommergibili in difficoltà e la neutralizzazione degli ordigni esplosivi rinvenuti in contesti marittimi. I palombari della Marina svolgono interventi anche nel settore civile, dalla ricerca archeologica alle missione di salvataggio e soccorso (come per la Costa Concordia), dal recupero di relitti alle attività sanitarie in camera iperbarica. Tocca a loro il soccorso agli equipaggi dei sommergibili in difficoltà, anche attraverso lanci con il paracadute in mare aperto. Possono effettuare la bonifica degli ordigni esplosivi di qualsiasi natura, sia sulle navi che nei porti o sott’acqua, in mare, nei fiumi o nei laghi. Tutti i palombari sono artificieri ed esiste anche un gruppo altamente specializzato per la rimozione di ordigni terroristici. Al novembre 2020, con un limite dato dall’emergenza covid che ha fatto interrompere molte attività, sono oltre 60.000 ordigni esplosivi di origine bellica, rinvenuti e neutralizzati. Nel 2019 hanno eseguito 252 interventi di bonifica d’urgenza, che hanno consentito di rimuovere, attraverso 4.233 ore d’immersione, un circa 72.000 ordigni esplosivi da mari, laghi e fiumi.
Un reparto di eccellenza
La categoria palombari vanta 170 anni di storia, un’avventura nata il 24 luglio 1849 quando venne istituita a Genova la prima scuola Palombari. Il corso palombari italiano è il più completo e selettivo al mondo, solo meno di un terzo degli aspiranti lo supera. Dura un anno e comprende immersioni anche nei laghi montani. È l’unico corso al mondo che adotta anche tecniche tradizionali. Il corso base dura oltre 11 mesi, poi la formazione prosegue per tutto il servizio. Al corso base seguono corsi di alta specializzazione. Lo scafandro tradizionale, il cui utilizzo è una prova cancello per il corso, pesa circa 80 chilogrammi e il palombaro lo deve vestite a bordo di una piccola barca. Le immersioni base sono oltre i 50 metri, quelle più estreme oltre i 100 metri, poi vi sono immersioni tecniche oltre i 250 metri. I palombari operativi della Marina sono meno di 150 compresi gli istruttori ed i vari gruppi distaccati nelle varie basi. Il centro operativo ed il comando di tutti i palombari della marina è alla Spezia, nella base del Varignano, dove hanno sede le scuole di immersione ed il Gos (Gruppo operativo subacquei) poi vi sono delle sedi disaccate per garantire rapidità e continuità di impego che operano sempre sotto il coordinamento del ComSubIn e sono i Nuclei S.D.A.I. (Servizio Difesa Antimezzi Insidiosi), i principali sono a Spezia, Taranto, Augusta (SR), Ancona, Cagliari e La Maddalena (SS), e Napoli, sulle navi in missione sono imbarcati palombari. Abitualmente, gli ultimi sono partiti poche settimane fa, due palombari sono sempre impegnati come supporto tecnico alla missione scientifica nazionale al Polo Sud, per immersioni sotto i ghiacci in luoghi mai esplorati. In Italia, dal 2019, è in servizio la prima donna palombaro militare al mondo, l’unica che è riuscita a superare il corso della Marina, si chiama Chiara Giamundo, 23 anni, oggi in forza al Gruppo operativo subacquei. Nella base del Varignano ha sede la scuola per operatori subacquei militari che forma il personale di tutte l forze armate e dei corpi armati dello Stato. Qui possono essere addestrati e abilitati a condurre immersioni in basso fondale, secondo le rispettive competenze, o a profondità maggiori. Sola la Marina possiede però un reparto palombari. I palombari della Marina operano anche nella gestione specialistica delle camere iperbariche anche ai fini della ricerca medica, al Varignano si svolgono attività di medicina iperbarica in collaborazione con università e centri di ricerca internazionali.
Foto-Fonte: https://www.ilsecoloxix.it/la-spezia/2020/11/26/news/il-mare-il-piu-grande-deposito-di-esplosivi-d-italia-ecco-il-lavoro-dei-palombari-spezzini-della-marina-1.39587365