Giuseppe D’Angelo
(Docente di Storia Contemporanea – Università di Salerno)
La guerra irrompe in una città sonnacchiosa, che a stento sino allora ne è stata toccata e che, il più delle volte, l’ha vissuta in maniera quasi privata, chiusa nel dolore di lutti lontani, accaduti altrove. La guerra riguarda altre città, in primo luogo Napoli, sulla quale si accaniscono gli oltre cento bombardamenti raccontati da Aldo Stefanile. Ricorda Arturo Carucci che, anche nel 1943 «l’euforia continuava. I rifugi, durante i frequenti allarmi aerei, restavano vuoti e, al loro passaggio, gli apparecchi nemici trovavano nei salernitani altrettanti curiosi, che dalle strade e dai balconi li contavano, ne giudicavano l’altezza e la velocità e tristemente commentavano la sorte delle città, specie della vicina Napoli, sulle quali gli aerei avrebbero presto scaricato il loro peso di acciaio e di morte (Lo sbarco anglo-americano a Salerno: settembre 1943, Salerno, 1948, p. 7)». Salerno continua la sua esistenza stentata, ma tutto sommato tranquilla. POSTAZIONI – La difesa antiaerea della città, per gran parte del periodo bellico, è affidata ad un gruppo di non più giovani richiamati. Le postazioni sono collocate sul forte La Carnale, ma soprattutto sull’Orfanotrofio Umberto I, che, nello stesso edificio, ospiterà anche un ospedale, segnato con tanto di croce rossa sul tetto e sul quale si accaniranno gli ultimi tiri dei tedeschi in fuga. In esso sono sistemate le cyclette, sulle quali i “militari” sono tenuti a quotidiani allenamenti. La pigrizia, la non “verde” età e la lontananza anche psicologica dalla guerra spingono i più ad offrire piccole somme di danaro o generi alimentari ai giovani e ben più dinamici ospiti del “Serraglio”, affinché effettuino i prescritti 50 chilometri in loro vece. Solo nel febbraio del 1943 è costituita la 222a divisione costiera affidata al comando del generale Ferrante Gonzaga del Vodice. C’è una certa bonomia nell’animo dei salernitani nei confronti degli angloamericani, dettata dalla “lontananza” della guerra, al punto che si accetta con qualche sufficienza finanche la quotidiana presenza di un aereo alleato, il quale controlla un tratto di strada ferrata nei pressi della città. Anche quando nella tarda serata del 20 giugno, sono da poco trascorse le 22, Ciccio ’o ferroviere, così i salernitani chiamano quasi confidenzialmente il ricognitore che li sorvola, lancia alcuni spezzoni incendiari, uccide una persona e ne ferisce altre quattro. Il fatto è, ancora una volta, ritenuto una questione privata, intima, tra Ciccio e la ferrovia, che nulla toglie alla calma della città. IL PRIMO ATTACCO AEREO – Il primo, vero bombardamento – quello del giorno successivo, 21 giugno 1943 – giunge assolutamente inatteso. È un caldo lunedì, il primo giorno d’estate, e i salernitani, in gran numero, sono ancora in spiaggia quando risuona l’allarme aereo. Forse il piccolo Antonio Vitale, ospite dell’Istituto Umberto I, ha già invano annunciato l’arrivo degli aeroplani, suonando, dall’alto delle mura del “Serraglio” trasformato in posto di avvistamento, una tromba ben piú grande di lui, così come aveva fatto tante altre volte nella completa disattenzione dei salernitani. Nessuno crede che si tratti di alcunché di diverso dai soliti, inutili allarmi; solo pochi cercano riparo nei precari ricoveri antiaereo; i piú restano, inconsapevoli, a prendere i bagni di mare sulla spiaggia di Santa Teresa. È un tragico errore. Alle 13,15 e, poi, all’una di notte del giorno successivo, due diverse ondate di bombardamenti seminano terrore e morte in città. Don Aniello Vicinanza, priore curato della Chiesa dell’Annunziata, annota sul “Libro dei battezzati” della sua parrocchia gli avvenimenti di quel giorno: «Oggi 21 giugno 1943, alle ore 13, la città di Salerno è stata oggetto di una spaventosa incursione aerea da parte dell’aviazione Anglo-Americana. L’incursione si è ripetuta la notte tra il 21 e il 22 giugno. Gli effetti di tutte e due sono stati spaventosi, vari edifici colpiti in città e nel sobborgo di Pastena, con qualche centinaio di morti e forse duecento feriti. La zona della Parrocchia della SS. Annunziata è rimasta miracolosamente illesa. (Sit locus dei et B. Mariae V)». LA MISSIVA – Una prima descrizione, tragica e abbastanza dettagliata, è quella fornita dal generale Ferrante Gonzaga, che, in lettera alla sorella del 27 giugno 1943, racconta degli accadimenti del lunedì precedente. Scrive il generale: «Il giorno 21 ho fatto dire una messa a S. Luigi poi mi sono recato in ufficio ove ho lavorato fino alle 12.½; colazione; poi mi sono ritirato in albergo [il generale si riferisce alla sua stanza presso l’Albergo Diana, che aveva sede all’angolo tra via Roma e porta S. Matteo in Piazza Flavio Gioia, nda] per riposarmi. Mi ero da poco spogliato che una formazione nemica ha incominciato a bombardare Salerno. Poiché ricoveri non ve ne sono mi sono fermato a letto; quando è cessato e incominciavo a vestirmi per uscire a riconoscere i danni è giunto il mio attendente a dirmi che era crollato il comando. Se avessi visto che desolazione, erano cadute 10 bombe da 500 kg che lo avevano sfasciato completamente. La 1a era caduta sul mio ufficio, tutto calcinacci, come puoi immaginare, ma sul mio tavolo e sulla sedia pochi calcinacci che non mi avrebbero fatto alcun male, un’altra aveva fatto crollare il terrazzo, un’altra si era abbattuta sul centralino telefonico seppellendovi il personale di servizio. Per fortuna, 2 giorni prima avevo scoperto un cunicolo delle acque che passando sopra la strada [sic, evidentemente deve intendersi sotto la strada, nda] portava al fiume, lo avevo fatto sgombrare e avevo ordinato che in caso di allarme la truppa si rifugiasse lì e così avevano fatto, uno solo che si era attardato a scrivere una lettera è stato trovato in cortile spezzato in due a mezzo busto, senza gambe, coi capelli ritti sulla testa. Le perdite si sono ridotte a tre persone, quella, un telefonista che dettava un fonogramma e pare sia morto sul colpo, un caporale che era di servizio e del quale fin dal primo momento abbiamo trovato un piede staccato che ci ha permesso di giudicarlo morto. Il rimanente personale, ricoverato sotto il cunicolo è stato salvo per miracolo; 2 colpi, uno da una parte e l’altro dall’altra a non piú di 10 metri dal cunicolo hanno tagliato la strada che il cunicolo attraversava, fino ad una profondità maggiore di quella cui si trovava il fondo del cunicolo. Abbiamo trovato sul cunicolo una bomba da 500 non esplosa, se esplodeva era la morte di tutti. […] Ma non eravamo noi i soli colpiti; in una vicina caserma vi erano 6 morti, una colonna di soldati ne aveva avuti 30. Si è dovuto perciò lavorare a portare morti e feriti all’ospedale, a riattare la strada, a scavare fra le macerie. Sono stato all’ospedale, vi era una camera di morti, le corsie tutte piene, uomini, donne, bambini, uno tutto ustionato stava morendo, un altro era nudo, con una ferita al costato. Ti assicuro che facevano veramente pena. Gli apparecchi nemici, sapendo che non vi era difesa in Salerno, erano scesi a 1000 metri e avevano colpito preciso il mio comando e la stazione cui avevano fatto saltare i binari. Intanto ero avvertito che a Battipaglia vi erano pure dei danni, perciò vi feci una corsa, avevano colpito la stazione, una fabbrica di conserve alimentari e un mio comando di Regg.to. 2 morti fra i miei e 15 fra la popolazione. Anche qui lo stesso fenomeno, non vi erano ricoveri, non vi erano batterie. Si è lavorato fino a notte, poi ci siamo ritirati a Salerno, si è cenato e poi a letto. Verso le 1 di notte seconda incursione su Salerno. Quando è finita mi sono alzato e ho girato per la città, un disastro. Questa volta avevano colpito tutte case di abitazione. La popolazione terrorizzata scappava sulle montagne, dalle macerie grida di aiuto. Quanti feriti ci siano stati non lo so, un mio soldato aveva perduto tra madre e padre, moglie e figli ben 14 persone, nel complesso 117 morti fra militari e civili, feriti non so quanti, sepolti non lo sappiamo neppure ora. So soltanto che da allora lavoriamo ad estrarre cadaveri dalle macerie e a sotterrarli, di molti non si sa chi siano, si prendono le fotografie e si sotterrano. […] In quanto ai servizi, da 6 giorni noi ci sostituiamo alle autorità politiche; non avevano neppure il disinfettante per i morti; le casse sono state fatte col poco legname che avevamo noi a Battipaglia, per Salerno hanno dovuto mandarle a requisire nei paesi vicini persino a Napoli; le avevano imboscate per speculazione».
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02Set
Giugno ’43, Salerno scopre la guerra
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