Ognuno recita il proprio ruolo, immerso in quella divina sensazione di devozione allo scopo comune: la realizzazione di un'opera d'arte, che anche la bonifica bellica sa idealizzare.

News

Ognuno recita il proprio ruolo, immerso in quella divina sensazione di devozione allo scopo comune: la realizzazione di un'opera d'arte, che anche la bonifica bellica sa idealizzare.

Bibak: la startup che vuole sminare il mondo

Categories: Bonifica perché

di Dario d’Elia 
Sono bastate 10 settimane alla Singularity University,
l’istituzione accademica ospitata dal centro ricerche NASA di Moffett Field
(Mountain View), per dar vita al progetto di un sistema di identificazione
delle mine antiuomo. Selene Biffi, la giovane monzese che è ha vinto il Global
Impact Challenge e relativa borsa di studio, come abbiamo raccontato
ques’estate ha seguito dei corsi con i guru della Silicon Valley e realizzato
il “compito” di fine corso.
Ebbene, siamo al capitolo finale e lasciamo che ci racconti
com’è andata.
Scrive Biffi.
Si è conclusa da qualche settimana la mia esperienza
americana presso Singularity University che per me ha significato, soprattutto,
concentrare tempo ed energie su un progetto da molto tempo nei mie pensieri, ma
a cui non avevo avuto ancora occasione di dedicarmi.
Il Graduate Studies Program come avrete intuito è stato
diviso in due fasi: nelle prime settimane abbiamo avuto incontri, conferenze ed
esercizi su numerose tematiche, le ultime cinque sono state invece interamente
dedicate allo sviluppo dei progetti che ogni gruppo avrebbe dovuto presentare a
fine corso e che una giuria avrebbe votato, scegliendone un numero ristretto da
presentare come emblematici.
Devo dire che la competizione si è fatta sentire, soprattutto
tra i progetti a tema medicale, un’area di lavoro che ha generato più interesse
rispetto ad altre, come ad esempio quella della sicurezza, dell’education o dei
disastri naturali. Il ritmo serrato e il senso di corsa contro il tempo ha
segnato le giornate (e le notti) di tutti, con team che rimanevano a lavorare
fino alle 5 del mattino tra prototipi da costruire – fondamentali per non
essere squalificati – esperti da intervistare, proiezioni finanziarie, sviluppo
di metriche per la misurazione dell’impatto, marketing e altro ancora.
Da testarda come sono, fin dai primi giorni a Singularity ho
deciso di lavorare all’idea di un sistema di identificazione delle mine
antiuomo, a prescindere dalla poca popolarità che un tema come questo
riscontrava. Non mi sono però fermata e, prima lavorando da sola e poi in
collaborazione con due mie compagne di classe (Lorenn Ruster e Shirley
Andrade), ho dato vita a Bibak (www.bibak.org) e ai nostri sensori, un progetto
scelto tra i 5 migliori di quest’anno tra i 23 presentati da una giuria
composta da tecnici, investitori, giornalisti e imprenditori. Abbiamo avuto
così modo di presentare Bibak al Museo della Storia del Computer di Palo Alto,
durante la cerimonia di chiusura.
tomshw.it- il team Bibak
Bibak è davvero solo agli inizi, ma l’obiettivo è ambizioso:
aiutare le comunità che si ritrovano, dopo un conflitto, a dover far fronte
alle mine sparse sul loro territorio, con i relativi rischi che ne derivano e
l’impossibilità di portare avanti attività come agricoltura o la ricostruzione
di infrastrutture quali scuole e strade. Non è un problema da poco questo, dato
che statistiche delle Nazioni Unite parlano di 110 milioni di mine sparse in
oltre 70 paesi, e che uccidono o mutilano 20,000 persone l’anno, il 47% dei
quali bambini.
Bibak sta dunque lavorando su una serie di sensori in grado
di identificare mine antiuomo, che possano essere facilmente assemblati in loco
e, una volta che lo sminamento è stato effettuato, possano essere riconvertiti
ad altro uso utile alla comunità (per esempio trasformandoli in parte di un
generatore per l’energia o per regolare il flusso di acqua utilizzato in
agricoltura). I sensori sono modulari e possono essere attaccati a qualsiasi
cosa, da bastoni a rastrelli fino ai droni.
Oltre a Bibak sono stati selezionati altri 4 progetti, di cui
due con finalità mediche: un marcatore della saliva e un marcatore del sangue,
a cui sta già guardando una importante multinazionale come Procter and Gamble,
per l’individuazione entrambi di malattie, valori, carenze etc.. Di tipo più
ingegneristico invece l’apparecchio acustico per anziani in grado di svolgere
più funzioni: riconoscere le persone dal timbro della voce, chiamare i soccorsi
in caso di emergenza e fare da promemoria. In ultimo, una stampante 3D studiata
ad hoc per la costruzione di edifici, applicabile direttamente sulle gru e in
grado di “stampare” vere e proprie case.
Cosa succederà a queste startup, dato che Singularity per noi
è finita, dipende molto da ogni team e, nonostante il ritorno a casa, la voglia
di continuare a sperimentare, provare e migliorare i nostri prototipi è davvero
tanta. Nel mio caso, continuo ad assemblare il team – che al momento conta su
imprenditori sociali, ingegneri, makers e sminatori – e a migliorare i sensori
con l’intento di testarli direttamente sul campo a breve, quando sarò di
ritorno a Kabul dove prosegue anche The Qessa Academy, la scuola per il
recupero del patrimonio culturale che ho fondato l’anno scorso, e che insegna a
dà lavoro a ragazzi disoccupati.
In Italia comincia invece un nuovo progetto a Nola e continua
anche il lavoro dei videogiochi sulla scienza con Spillover; da novembre
avvieremo inoltre il progetto EduCHANGE Spillover in cooperazione con AIESEC
Italia, un programma educativo rivolto alle scuole pubbliche secondarie di
primo grado che prevede uno speciale tutoring di universitari provenienti
dall’estero attraverso laboratori di animazione scientifica.
Insomma, i prossimi mesi saranno tutto fuorchè noiosi, grazie
anche a Singularity.
Spero di avervi incuriosito raccontandovi un po’ della mia
esperienza in California e chissà, magari tra voi lettori c’è il prossimo
vincitore della Global Impact Competition 2015.
Aggiornamento. Pubblichiamo di seguito alcune precisazioni da
parte dell’ufficio stampa di Bibak:
– Selene Biffi ha 12 anni sul campo e un’esperienza legata
alla creazione di tecnologie per lo sviluppo e per l’istruzione, attualmente
sta formando un team che ad oggi è composto, oltre che da lei e dalle altre 2
co-fondatrici del progetto, da vari professionisti tra cui: ingegneri, chimici,
makers, sminatori con trent’anni di esperienza sul campo e personale sia di ONG
che militare dedito allo sminamento. Questi professionisti hanno collaborato
allo sviluppo del prototipo, ognuno con il suo know-how, e continuano ad
assistere Bibak nel suo percorso con disponibilità, serietà e professionalità.
– il processo di sminamento è difficile, lungo e costoso, e
impiega sminatori in grado di coprire tra i 50 e i 150 m2 al giorno con
l’utilizzo, di prassi, di un metal detector e, ove possibile, di cani o ratti.
La pratica di utilizzo del metal detector – poco e’ cambiato dalla metodologia
utilizzata a partire dalla Seconda Guerra Mondiale – è oggi coadiuvata da GPR.
Nella maggior parte dei casi gli sminatori ricevono in media tra le 2 e le 4
settimane di training (parliamo di humanitarian demining, lavoro di cui si
occupano circa 340 NGO al mondo e a cui si dedica anche Bibak, che non riguarda
lo sminamento di tipo militare); in genere si tratta di persone della
popolazione dei Paesi affetti e che, in posti come Sri Lanka o Angola, guadagna
$250 al mese rischiando la vita tutti i giorni (i dati utilizzati qui e
nell’articolo sono ripresi da fonti quali Nazioni Unite, Mine Advisory Group e
dal Geneva International Humanitarian Demining Centre).
– i sensori sviluppati in Singularity University erano
comprensivi di un metal detector, di un sensore per il nitrogeno (uno dei
componenti che si degrada per primo nelle mine, e che i cani e i ratti sono
addestrati a fiutare come componente del TNT, uno dei due tipi di esplosivi
principali usati nelle mine, siano esse di metallo, plastica o legno) e di un
GPR basico. Il prototipo iniziale e’ stato montato e testato, siamo ora in fase
di miglioramento, per arrivare alla prova sul campo, tra qualche settimana, per
i primi test effettivi.
– I sensori usati uniscono varie tecnologie già testate
individualmente e accettate come prassi dalla comunità internazionale; la
possibilità di aggiungere nuovi sensori più avanzati tecnologicamente è al
momento in fase di analisi. È infatti purtroppo una prassi, quella che vede
ricerche promettenti in questo ambito non arrivare mai sul campo, un po’ per
mancanza di fondi e un po’ per mancanza di volontà. Con Bibak intendiamo rendere
metodi comprovati e ricerca ad alto potenziale disponibile a chi ne ha più
bisogno – le comunità che si ritrovano a fronteggiare la piaga delle mine
quotidianamente – creando così occupazione, skills tecniche e la possibilità di
contribuire direttamente allo sviluppo locale.
– i sensori, oltre che riciclabili (possono essere
trasformati in parte di un generatore per l’energia o per regolare il flusso
dell’acqua in agricoltura), sono pensati per essere sviluppati ad un costo
contenuto e con parti facilmente assemblabili e reperibili, una cambio radicale
rispetto agli attuali costi di accesso di metal detector (dai $2,600 ai
$16,000), e macchinari vari come trattori e thrashers (dai $50,000 ai
$300,000).

Considerata la delicatezza dell’argomento abbiamo ritenuto
opportuno fornire maggiori informazioni e approfondire alcuni dettagli. Vi
terremo aggiornati sullo sviluppo del progetto. Fonte: http://www.tomshw.it/cont/news/bibak-la-startup-che-vuole-sminare-il-mondo/59209/1.html

CondividiShare on FacebookShare on Google+Tweet about this on TwitterShare on LinkedIn

Lascia un commento