AOSTA. «Ca cousta l’on ca cousta, viva l’Aousta!» aveva gridato insieme ai compagni, anche se con voce già affievolita dall’età, Liberato Salvati, classe 1921, durante il 1° raduno del Battaglione Aosta e 1° raduno della Scuola militare alpina, a ottobre 2018, ad Aosta. Era il decano degli alpini valdostani, uno degli ultimi reduci della Seconda Guerra Mondiale, e il socio più anziano del Gruppo Ana di Aosta. Il 9 aprile è morto all’ospizio di Aosta Père Laurent, positivo al Covid-19, ma asintomatico. «La sua figura era diventata, da anni, una presenza preziosa in sede dove, sino a pochi mesi fa, si recava ogni giorno, guidando la sua autovettura, per bere un caffè, sempre senza zucchero, e per leggere il giornale, sempre senza occhiali! Era orgoglioso delle sue decorazioni e delle sue medaglie» ricorda Carlo Gobbo che è stato suo capo gruppo. «Questa morte in tempo di pandemia ci rattrista molto e ci impedisce di poterne onorare la memoria come avrebbe meritato» aggiunge Gobbo che negli anni ha raccolto le memorie scritte dal veterano. Il primo aprile del 1940 Salvati lascia la sua terra abruzzese e arriva in Valle d’Aosta per partecipare al corso allievi sottufficiali della Scuola militare alpina. Viene poi destinato alle operazioni di guerra ai 2.500 metri del Col de la Seigne e entra come effettivo nella 41° compagnia del Battaglione Aosta, la compagnia dei «Lupi». Nel 1942 parte in Montenegro dove gli viene affidato il comando di una squadra esploratori. Di quegli anni di guerra sulle colline di Càttaro (cittadina del Montenegro) ricordava che «quando andavamo a requisire il pane e le patate nei villaggi, provavamo una strana sensazione, mista di diritto, di rabbia, di vendetta e di vergogna. Non si può raccontare tutto quello che succede in guerra, solo chi l’ha vissuta potrebbe capirci». Alla fine del conflitto inizia il calvario per il rientro in patria: «Il treno dove ero salito con i miei uomini aveva un centinaio di vagoni, con tre locomotori a legna, uno in testa, uno in coda ed uno a metà convoglio. Un giorno si fermò per fare legna da ardere ma noi non avevamo più niente da mangiare e così rapinammo i campi di patate, di grano turco, i magazzini delle fattorie, pollai, orti. Nei vagoni facevamo fuoco e cucinavamo le nostre razzie. Arrivati a Zagabria ci fermarono ed un ufficiale ci disse: “Sappiamo che avete fame, però adesso chi paga i danni che avete arrecato ai campi di patate, di grano, alle fattorie?”. Qualcuno gridò: “Pagano le nostre autorità italiane”. L’ufficiale replicò: “In Italia non c’è più nessuna autorità!”. Io cercavo di calmare gli animi. All’alba, dopo alcuni giorni, arrivò di nuovo l’ufficiale con altri otto e ci disse “Vi lasciamo partire perché il presidente degli Stati Uniti, Truman, ha detto che i i vostri danni li paga lui“. La notte stessa arrivammo a Trieste. Eravamo ridotti come dei barboni, sfiniti, esausti». Poi l’arrivo a casa, a Cassano Caudino, provincia di Avellino. «Erano due anni che non sapevo niente della mia famiglia , e di cosa fosse successo in Italia. A duecento metri da casa ho incontrato un ragazzino e gli ho detto “Ciao giovanotto, conosci la famiglia Salvati?”. Mi rispose “Sì, i Salvati li conosco, abitano là in fondo”. “Allora vai a avvertirli che il loro figlio è tornato dalla guerra”. La prima persona che mi venne incontro è stata la mia mamma Angela». La vita di Salvati è rimasta ad Aosta dove ha fatto tutta la carriera militare come artificiere in Valle, congedato poi maresciallo maggiore. «Fino ai 92 anni – ricorda Carlo Bionaz, presidente dell’Ana Valle d’Aosta – veniva chiamato dal Ministero della Difesa per andare in giro per il mondo per le sue immense conoscenze sugli ordigni bellici».
Foto-Fonte: https://www.lastampa.it/aosta/2020/04/10/news/addio-a-liberato-salvati-decano-degli-alpini-di-aosta-e-uno-degli-ultimi-reduci-della-seconda-guerra-mondiale-1.38702454