Ognuno recita il proprio ruolo, immerso in quella divina sensazione di devozione allo scopo comune: la realizzazione di un'opera d'arte, che anche la bonifica bellica sa idealizzare.

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Ognuno recita il proprio ruolo, immerso in quella divina sensazione di devozione allo scopo comune: la realizzazione di un'opera d'arte, che anche la bonifica bellica sa idealizzare.

Napoli. Seconda guerra mondiale, un testimone: «Il mio amico Napolitano salvo con me nel ricovero»

Categories: Bonifica perché

di Marco Perillo
Un monumento vivente, Tonino Persico. Un testimone dei tragici bombardamenti su Napoli nel 1943 e delle Quattro Giornate, ma anche della dolorosa battaglia di Cassino. Lo abbiamo incontrato davanti a un altro monumento, quello di Aurelio Padovani, leader del fascismo campano, rinvenuto all’interno del Tunnel Borbonico, ricovero antiaereo proprio di Tonino Persico durante la seconda guerra mondiale.

Tonino, oggi 88 anni, per anni tra i farmacisti più conosciuti e apprezzati di Napoli, vicino al Pci, abitava da ragazzo a Palazzo Serra di Cassano a Montedidio. Proprio lì, all’interno del suo appartamento, nell’aprile del ’43, cadde un ordigno bellico, per fortuna inesploso. Fu per questo motivo che durante il susseguente rifugio nel ricovero, Tonino, insieme alcuni amici – compreso l’attuale presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che abitava al Calascione – scrissero su un muro “Noi vivi”. Se infatti l’ordigno fosse esploso, sarebbero tutti morti. Compreso il grande giornalista Mario Stefanile e il nonno del cantautore Gigi Finizio, che abitavano a Montedidio.

Tonino Persico, com’era la vita nel ricovero?
«Durissima. Anche se io mi distraevo studiando, poiché dovevo conseguire la maturità classica che mi avrebbe poi portato agli studi di Farmacia. Il mio amico Giorgio Napolitano, ricoverato a causa delle bombe nello stesso posto in cui mi trovavo, me lo chiedeva sempre: “Ma che fai? Siamo sotto le bombe e tu studi?”. E io rispondevo: “Sì, a giugno mi devo diplomare”».

La vita che, nonostante tutto, continua. Ma che rapporti c’erano all’interno del rifugio?
«C’era grande solidarietà e si cercava di condividere quel che si poteva, cibo compreso. Ma si parlava troppo; si criticavano le scelte del fascismo e si discuteva la politica nazionale. Io una volta intervenni dicendo che dovevamo stare attenti, perché nel palazzo di Cassano c’era la il Comando nazionale della milizia volontaria».

Dopo pochi giorni, però, si trasferì vicino Cassino. E, come storicamente molti sanno, non fu una scelta felice…
«Sì; scappammo a San Vittore, nel Lazio, perché lì abitava la fidanzata di mio fratello. E purtroppo fu il principale campo di battaglia tra americani e tedeschi. Io fui fatto prigioniero dai nazisti e fui utilizzato come artigliere per i cannoni elettrici. Non avevo alcuna prevenzione, per cui ci ho rimesso il funzionamento di un orecchio, visto il rumore assordante a ogni scoppio. E ho visto l’abbazia di Montecassino distrutta, scampando anche a quel terribile bombardamento».

E le Quattro Giornate di Napoli?
«Non le ho vissute perché ero a Cassino, ma quando tornai trovai una città diversa, riscattata, in cui tutti avevano dato un contributo per la Liberazione. Un momento eroico che non si è mai più ripetuto. In quegli anni difficilissimi riuscimmo a gettare le fondamenta per il futuro».
Fonte:
http://www.ilmattino.it/NAPOLI/CRONACA/giorgio-napolitano-savo-ricovero-guerra/notizie/332379.shtml

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