Ognuno recita il proprio ruolo, immerso in quella divina sensazione di devozione allo scopo comune: la realizzazione di un'opera d'arte, che anche la bonifica bellica sa idealizzare.

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Ognuno recita il proprio ruolo, immerso in quella divina sensazione di devozione allo scopo comune: la realizzazione di un'opera d'arte, che anche la bonifica bellica sa idealizzare.

Bari bombardata, svelato il segreto: ecco perchè nessuno parlò dell’iprite

Categories: Bonifica perché

di Salvatore Schirone 
Svelato finalmente il vero motivo che spinse le Forze Alleate a secretare le cause e gli effetti del tragico bombardamento che devastò il porto di Bari il 2 dicembre 1943, causando il più grande disastro chimico della Seconda Guerra Mondiale. Sconcertante la rivelazione dello storico Francesco Morra: fu un sacrificio imposto ai baresi, che però salvò le sorti dell’intera guerra. Il risultato delle sua ricerca è stato licenziato venerdì scorso, 29 agosto, attraverso un documentario firmato dal regista Fabio Toncelli e andato in onda su Rai3, durante il programma “La grande storia”. 

Facciamo un passo indietro e andiamo a quei tristi giorni di 71 anni fa.

Tra le navi mercantili che nello scenario del Mediterraneo si muovono per approvvigionare di armi gli Alleati concentrati nel porto barese, c’è la “John Harvey”. Si era staccata dalla costa settentrionale dell’Africa in ottobre diretta a Bari. In segreto, trasporta 91 tonnellate di iprite, confezionato in 2000 bombe. L’iprite, sigla M-47, ma più noto come “gas mostarda” per il suo tipico colore bruno-giallognolo e l’odore di aglio, fu usato la prima volta durante la Grande Guerra nel 1915 a Ipri, città belga da cui prese il nome. I terribili effetti spinsero la comunità internazionale a sancire nel 1927 un protocollo per bandirne l’uso. Ne fu proibito l’uso, ma non la produzione. 

La sera del 2 dicembre la flotta aerea tedesca, la terribile “Luftwaffe“, con un sofisticato stratagemma inganna i radar della contraerea e attacca praticamente indisturbata il porto barese distruggendo ben 18 delle 40 navi ormeggiate e irresponsabilmente illuminate anche di sera per consentire lo scarico continuo dei mezzi militari. Il ventre della Harey aveva già partorito metà del suo mortale carico sulla banchina quando saltò in aria in un boato che squarciò il nero fumo degli incendi, illuminando a giorno l’intera città. Fino a tutto il giorno successivo ci fu l’inferno, immortalato in decine di foto e pellicole  (alcune inedite scovate da Morra nell’archivio militare americano) e stampato indelebile negli occhi umidi degli ultimi testimoni intervistati.

Ma quello che avvenne nei giorni seguenti fu ancora più sconcertante: centinaia di uomini videro comparire sui loro corpi strane vesciche. Nessuno parlò di iprite e quindi i medici si ritrovarono di fronte a qualcosa che non sapevano come curare. Morirono circa 250 persone, che si aggiunsero alle mille decedute durante l’attacco.

Per più di settant’anni gli storici si sono posti questa domanda: perché gli alleati mantennero il segreto della presenza di iprite anche nei giorni successivi all’esplosione, impedendo non solo la prevenzione ma anche la necessaria diagnosi e cura alle centinaia di militari e cittadini che durante i primi soccorsi vennero a contatto con il micidiale gas? Una domanda a cui finora non era mai stata data una risposta. Ma qui entra in gioco Francesco Morra, che dopo anni di ricerca condotta negli archivi tedeschi, britannici e americani, ha raccolto documenti inediti e interviste esclusive che gli hanno permesso di ricostruire dettagliatamente gli avvenimenti di quei giorni e di rispondere alla domanda che per anni ha continuato ad arrovellare le menti degli storici.

La risposta arriva quasi di straforo, in sordina, a tre quarti del documentario andato in onda sulla Rai. Gli Alleati furono “costretti” a mantenere il segreto perché il protocollo internazionale, sebbene ne proibisse l’uso, prevedeva il diritto di rappresaglia con iprite in caso di utilizzo dello stesso per primo da parte del nemico. Insomma se i tedeschi avessero saputo che gli inglesi detenevano l’iprite, si sarebbero riservati di utilizzarla anch’essi per fermare l’imminente sbarco in Normandia, che sei mesi dopo segnò praticamente l’inizio della fine della guerra e della caduta del Terzo Reich.

Appena visionato il documentario abbiamo intervistato l’autore.

Allora mantenere il segreto sull’iprite ha rappresentato una specie di tattica militare?

Si, gli americani erano “terrorizzati” dall’idea che se i tedeschi potessero venire a sapere della presenza di iprite sulla Harvey: i nazisti avrebbero usato la notizia come pretesto per legittimare un loro uso di gas in Normandia. E la cosa funzionò: i tedeschi non vennero a conoscenza dell’iprite. Nelle mie ricerche non ho trovato riscontri che dimostrino il contrario. 

Perché ci sono voluti oltre settant’anni per arrivare alla verità? 

Credo che finora nessuno abbia voluto investire soldi in questo lavoro. La ricerca storica ha dei costi: in questo caso è stato necessario muoversi tra Germania, Inghilterra ed Usa. Io ho avuto bisogno di finanziamenti e c’è voluto un produttore lungimirante e coraggioso come Roberto Dall’Angelo, della SD Cinematografica per poter portare a compimento la mia ricerca.

Non ha incontrato resistente “diplomatiche”?

In Gran Bretagna e Usa il sistema è molto trasparente. Esiste la regola dei “30 years rule”, cioè i documenti sono secretati solo per 30 anni (adesso scesi a 20), poi vengono resi pubblici. Ma se i documenti sono classificati come “secret”, l’apertura viene posticipata. Alcuni file su Bari sono stati desecretati solo negli ultimi anni.

Qualcosa però era già venuto fuori.

Glenn B. Infield pubblicò un libro nel 1971 in Usa, tradotto in Italia da Adda nel 1977 e ripubblicato nel 2003. Sembrava la parola definitiva, ma per me non poteva esserla. Infield infatti non disponeva dei documenti ancora secretati. Nel mio prossimo libro riporterò tutta la documentazione completa che ovviamente nel documentario non si poteva esplicitare.

Il documento scoperto che ritiene più importante?

Il verbale della riunione delle autorità portuali e militari che si svolse alle 14.15 del giorno 3 dicembre, immediatamente dopo il disastro. Questo documento fa la differenza. Infield asseriva che morti quelli della Harvey nessuno sapesse nulla del gas, in realtà il verbale mostra chiaramente che gli inglesi e gli americani erano a conoscenza di tutto e decisero di comune accordo, quel giorno, di porre il segreto militare sull’iprite.
 

Fonte: http://www.barinedita.it/inchieste/n1536-bari-bombardata-svelato-il-segreto–ecco-perche-nessuno-parlo-dell-iprite
Il trailer del documentario:


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